Fra le aperture della prima ora delle istituzioni culturali romane, insieme ai Musei Capitolini, Palazzo Braschi con l’«eterna bellezza canoviana», il Palazzo delle Esposizioni con le mostre di Jim Dine e Gabriele Basilico, la Galleria nazionale di arte moderna che inviterà tutti a salire la sua scalinata seguendo la scritta a caratteri cubitali Open (installazione site specific di Marti Guixé), ci sarà anche la Galleria Borghese, che da oggi torna ad accogliere i visitatori, dopo due mesi di forzato oscuramento dei suoi Tiziano, Veronese, Lotto, Bernini, Caravaggio, Canova, custoditi nell’edificio-scrigno immerso nel verde e rimasto, come gli altri musei, a porte chiuse. «Questo periodo di privazione ha riacceso il desiderio per attività, riti e abitudini che davamo per scontate, acquisite una volta per tutte. Abbiamo capito in un baleno che non è affatto così», spiega la direttrice Anna Coliva.

Nella sua opinione, il confinamento in fondo ci ha insegnato qualcosa…
Ha rappresentato una brutale presa d’atto, spingendoci a desiderare di rifare quelle esperienze che avevamo certamente dimenticato e, a volte, dimenticato di desiderare. Ci offre ora un’opportunità straordinaria di riappropriarci di luoghi improvvisamente liberi dai flussi massicci e incontrollabili che, negli ultimi vent’anni, ce li avevano in pratica preclusi. Nei prossimi mesi, che dobbiamo augurarci siano pochi, potremo prenderci il lusso di fare l’esperienza di piazze, borghi, musei con l’occhio del viaggiatore di un tempo, che aveva a propria disposizione spazio, tempo, silenzio, concentrazione. Il linguaggio alla moda la definirebbe «modalità slow», ma il concetto è quello del viaggiatore, dell’abitante, una condizione che il fenomeno del turismo di massa ci aveva inevitabilmente negato, quasi con violenza. Il modo «antico» di viaggiare per l’Italia sarà un’esperienza eccitante e avventurosa, che molti avranno rimpianto, forse anche con un po’ di acrimonia, un privilegio che non possiamo non afferrare al volo.

 

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Una situazione di emergenza e straordinaria, come quella vissuta in questi mesi, dovrebbe indurre a spostare lo sguardo. La pandemia – così prolungata nel tempo – potrebbe fornire anche l’occasione per ripensare al compito primario del museo e dell’arte. Crede sia uno scenario percorribile?
La frenata brusca data alle nostre attività e abitudini credo che abbia fatto riflettere molti: io, per esempio, ho trovato che l’evento più catastrofico – naturalmente dopo quello delle sofferenze, a volte estreme, causate dalla malattia – è stato aver sottratto a due generazioni almeno di bambini e ragazzi un semestre di scuola. È un tempo non risarcibile alla vita di una persona e segnerà per sempre la differenza tra chi ha dovuto subirlo e chi no. Si è parlato della chiusura delle scuole soprattutto in relazione al problema dell’attività lavorativa dei genitori e questo la dice lunga sul valore che diamo in Italia alla formazione. Il valore vero, non quello dei proclami sul «paese della cultura» e le ultime misure economiche non fanno che ribadirlo: nuove assunzioni di precari. Insomma la scuola è un cerotto di welfare e non, come dovrebbe essere, la spina dorsale della nostra società. Premesso che è un tempo per i nostri ragazzi purtroppo perduto e a cui non si è sopperito in alcun modo, ritengo che istituzioni dal valore altamente identitario, come sono i musei, debbano offrire una piccola riparazione a questa immane perdita. Cercheremo nei prossimi mesi, soprattutto quelli estivi, di attivare protocolli con gli istituti scolastici per organizzare visite molto mirate. Negli ambienti vasti e sicuri come quelli del museo si potrebbero avviare insegnamenti integrati  che partano dalle opere d’arte per arrivare agli altri ambiti disciplinari, come la storia, la letteratura e altro. Per i più piccoli, organizzare visite che sollecitino la fantasia e la condivisione collettiva. Partire insomma dalla storia dell’arte per arrivare alle materie d’obbligo invece che il contrario come si fa di routine.

La Galleria Borghese è un luogo visitatissimo non solo dagli italiani ma soprattutto da un pubblico straniero, che quest’anno – pur con la riapertura delle frontiere – sarà di certo scarso nei numeri. Questa sua vocazione internazionale non potrà essere coltivata a breve…A quali iniziative state pensando per arginare il problema?
La Galleria Borghese ha una caratteristica piuttosto unica: quella di essere allo stesso tempo un museo di forte vocazione internazionale, uno dei luoghi più conosciuti e amati all’estero e, per eccellenza, il museo dei romani. Quello che tutti visitano da bambini o da ragazzi perché è estremamente suggestivo, collocato per di più all’interno di un parco che consente di passare con facilità dalla passeggiata nel verde alla visita ai capolavori d’arte. Tutte le nostre energie saranno incanalate in progetti che incoraggino i romani a ritornare a questa consuetudine, per allargare la passeggiata sino a comprendere il museo, senza le limitazioni di tempo alla visita (si prevede l’accesso per ottanta persone munite di mascherina in ogni turno, per un totale di centoventi minuti di permanenza, così da poter gestire in maniera ottimale i flussi di entrate e uscita, ndr). Mi auguro però che ci sarà presto la svolta per la quale dovremo già essere pronti, avendo ricavato nuovi elementi di conoscenza negli accessi e nella sicurezza (una sapienza che questo periodo ci ha per forza di cose insegnata), così da mantenere questi accorgimenti nel tempo. Contemporaneamente, dovremo mettere a punto le attività che si sono bruscamente interrotte come la mostra già approntata Caravaggio. Il suonatore di liuto sull’approfondimento di un momento molto importante delle vicende caravaggesche, affinché il lavoro fatto sinora dagli studiosi e i legami internazionali che questa rassegna ha accresciuto non vadano persi. Apertura delle frontiere permettendo, sarà inaugurata in autunno. Vorrei poi progettare subito l’intervento di un artista contemporaneo, commissionare un lavoro che ci permetta di capire cosa sia accaduto. Che possa darci la chiave che solo la visionarietà dell’artista può concepire.

Diversi musei e siti archeologici italiani hanno espresso preoccupazioni per la riapertura sia a causa del deficit economico che per timore di un boomerang (poche visite, costi insostenibili). Che tipo di di visione sul futuro e di aiuti sarebbero necessari in questo frangente?
Credo che ciò vada valutato caso per caso. Ritengo però che i musei pubblici abbiano compiti e responsabilità diverse da altre istituzioni meramente espositive e devono prendersi il rischio di lavorare in perdita qualora questo a serva alla nostra collettività per ricevere un forte segnale prima di ripresa e poi di normalità.