La notte del 26 maggio, la città di Parma di accenderà per accogliere con la luna i visitatori del Terzo giorno, la mostra che fino al primo luglio «occuperà» il Palazzo del Governatore raccontando un desiderio di mondo ecologico, non minaccioso e di puro godimento della natura, attraverso l’arte.

A cura di Didi Bozzini, prodotta e organizzata da Arkage, società Benefit e B Corp certificata, è una rassegna che prevede di devolvere il 50% degli incassi al comune di Parma, il luogo ospitante, fondi che verranno reinvestiti con «Km verde», un progetto di sostenibilità ambientale. La narrazione che lega insieme le opere ha qualcosa di «biblico» (il terzo giorno della Genesi cui rimanda il titolo stesso): va dalla creazione al rischio di distruzione per approdare intorno a una idea di nuovo paradiso in terra, deviando il percorso con accenti di meraviglia e aprendosi all’incanto.

In tempo di migrazioni, carestie, guerre e disastri umanitari, è necessario cominciare a pensare diversamente, scartando dal presente per dirigersi verso un futuro «pilotato» dalla cultura. L’Eden, afferma Didi Bozzini, «esiste grazie alla visione di coloro che, come gli artisti, esprimono la qualità della natura senza pesarne la mera quantità. Coloro negli occhi dei quali un bosco, un’onda, un apietra sono occasioni per dare vita a un universo nuovo e migliore».

Sono quaranta gli artisti «paladini» (e centodiciassette le opere) chiamati a incarnare la speranza e a segnare l’itinerario che procede a grandi passi verso la ricostruzione di un pianeta offeso. In primis, c’è naturalmente un fotografo come Salgado che nelle sue immagini ha saputo raccontare l’inferno degli uomini-schiavi e poi la bellezza grandiosa, che incute rispetto e timore della natura nelle sue evocazioni più spettacolari. Ma qualcosa possono dire anche le ultime generazioni, come provano a dimostrare con le loro installazioni site specific Anna Ippolito e Marzio Zorio. Una sfera dorata sospesa dialoga con l’orologio solare costringendo tutti ad alzare lo sguardo verso il cielo e a immaginare le forme del cosmo in movimento, dimenticando la terra e il suo odore di bruciato. Quel che non può la politica, può la poesia. In mostra, c’è anche il primo dattiloscritto del celebre libro d’artista di Alighiero Boetti e Annemarie Sauzeau. È il volume, stampato in proprio, che raccoglieva il risultato di un’operazione concettuale iniziata nel 1969 con la schedatura di mille fiumi, dal più lungo al più corto, redatta con un’indagine svolta in collaborazione agli istituti geografici di tutto il mondo).

Non può mancare Piero Gilardi che ha reinventato artificialmente la natura circostante con i suoi tappeti erbosi in poliuretano espanso colorato. O, ancora, la serie ( quattro fotografie sono esposte) intitolata Il motivo suggerito dal taglio dell’albero di Mario Giacomelli, dove l’autore ritrae – quasi fosse una ossessione – tronchi sezionati, nelle cui venature però si intuiscono figure umane. «Ecco il volto che doveva avere il contadino, il contadino che mentre lo fotografavo non aveva l’espressione che volevo; invece nel legno non solo c’era l’espressione che volevo, ma anche la terra che avevo fotografato e la materia, le rughe, un condensato di tutto quello che volevo dai contadini».