A Latina il mondo di sopra del caporalato
Una gerarchia chiara e consolidata, dall’ultimo anello della catena – i braccianti migranti sfruttati – fino ai colletti bianchi dell’Ispettorato del lavoro e del sindacato. Pezzi deviati dello Stato, che […]
Una gerarchia chiara e consolidata, dall’ultimo anello della catena – i braccianti migranti sfruttati – fino ai colletti bianchi dell’Ispettorato del lavoro e del sindacato. Pezzi deviati dello Stato, che […]
Una gerarchia chiara e consolidata, dall’ultimo anello della catena – i braccianti migranti sfruttati – fino ai colletti bianchi dell’Ispettorato del lavoro e del sindacato. Pezzi deviati dello Stato, che agiscono per i loro interessi a discapito dei diritti e la dignità di centinaia di braccianti.
A Latina e dintorni, come ha confermato l’operazione dello Sco della Polizia condotta dalla Questura di Latina e della Procura della Repubblica, la macchina era ben oliata e funzionava perfettamente: almeno 500 persone reclutate e portate a lavorare nei campi con l’ausilio di autisti e capisquadra romeni. Una finta cooperativa agricola, Agriamici, faceva da agenzia di somministrazione di lavoro, ovviamente senza essere iscritta nell’apposito albo, e riforniva le aziende agricole locali di braccia per la raccolta.
A fornire i mezzi di trasporto era un’altra società, la Ellebi. Insomma, ad essere stato scoperto, finalmente, è il mondo di sopra del caporalato, ossia quell’insieme di professonisti e funzionari pubblici che da decenni consentono a padroni, padroni, caporali e sfruttatori vari della provincia di Latina di agire nella piena illegalità, fino a ridurre in schiavitù i lavoratori e tra questi, soprattutto migranti rumeni e richiedenti asilo subsahariani.
Un dipendente dell’Ispettorato nazionale del lavoro e il segretario della Fai Cisl della provincia di Latina fornivano le coperture necessarie e inoltre fornivano le necessarie informazioni agli sfruttatori per evitare controlli di ogni genere. Per la precisione, recita l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Latina, Gaetano Negro, su richiesta del Procuratore Carlo Lasperanza e del sostituto Luigia Spinelli, «consentivano la sopravvivenza della organizzazione ai controlli ispettivi e alle denunce-querele nel tempo inoltrate, tramite vantaggi patrimoniali quali l’adesione forzata della manodopera al sindacato e/o il lucro derivante dalla organizzazione di corsi sulla sicurezza sul lavoro per opera della pseudo-cooperativa indicata». Insomma, colletti bianchi del caporalato che agivano per interesse proprio e dei padroni.
I nomi e i cognomi dei sei arrestati di ieri e dei 50 indagati – imprenditori agricoli, commercialisti, altri sindacalisti a piede libero raccontano di un pezzo di territorio dedito allo sfruttamento, alla produzione di buste paga finte, alla riduzione al minimo di ogni costo per massimizzare i profitti.
A conferma delle denunce che per anni hanno fatto realtà come In Migrazione, Flai Cgil e la stessa comunità degli indiani del Lazio e soprattutto i sikh, che proprio a Latina organizzarono uno dei maggiori scioperi degli ultimi decenni, con oltre quattromila braccainti indiani che il 18 aprile del 2016 manifestarono nel capoluogo pontino reclamando diritti, giustizia e il rispetto del loro contratto di lavoro. Alcuni dei braccianti erano richiedenti asilo che uscivano ogni mattina dai centri di accoglienza e soprattutto da alcuni Cas locali, nei quali attendevano il riconoscimento della protezione internazionale. Anche in questo caso la peggior prima accoglienza che si associa criminalmente al caporalato e allo sfruttamento lavorativo. Stipati in venti in un pullmino, pagati un terzo rispetto alle ore di lavoro effettive, almeno 12 al giorno, sottoposti a una vera e propria estorsione con l’obbligo di iscriversi al sindacato Cisl per garantire a questo i ritorni economici necessari in termini di domande di disoccupazione che lo Stato avrebbe garantito.
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