Arrispighiativi è il sonoro invito a riprendersi e svegliarsi che ci viene nella sede di Porto M dalla voce e dai gesti solenni dell’ultimo lavoro musicale del cantautore Giacomo Sferlazzo. Per noi mette in scena un breve episodio da un «cunto», rappresentazione popolare della lotta tra Saraceni e Paladini che ci arriva direttamente dalle chansons de gestes via via rimodellate tra la tradizione orale e quella colta, passando per i pupi siciliani e Ludovico Ariosto.

Porto M è il luogo d’incontro del collettivo lampedusano Askavuza («a piedi scalzi»), e la M, ci racconta Giacomo, sta per Mediterraneo, Migranti, Miseria e anche munnizza. Abbiamo constatato con i nostri occhi, come Sferlazzo musicista e attivista politico, sia stato fermato per strada più volte da lampedusani che gli esprimevano il proprio appoggio per la battaglia che stanno conducendo a favore dei lavoratori della nettezza urbana a rischio posto di lavoro e senza stipendio da mesi.

È uno straordinario luogo d’incontro e di scontro questa «isoletta che dal mare è circonfusa», assolata e assaltata, in estate, da decine di migliaia di turisti. Per tentare di comprendere questo luogo abbiamo seguito un filo verde. Abbiamo partecipato al progetto «P’orto», ovvero gli orti sociali e condivisi più a sud d’Italia e d’Europa. Seduti in cerchio, dal 29 luglio al 3 agosto, tra sistemazione dei muretti a secco, pulizie varie, semine, raccolte, lezioni sugli argomenti più disparati, l’associazione Terra! ha raccolto, provenienti da tutta la penisola, una ventina di ragazzi e ragazze accorsi sin qui, ad imparare e fare.

IN UNA TRAVERSA DELLA AFFOLLATA VIA ROMA, al posto di quello che doveva essere un parcheggio ed era solo una discarica, tra scavi archeologici cominciati e abbandonati, vive un orto. Silvia Cama, genovese, coordinatrice del progetto e Katia Billeci, lampedusana, sono le solide spalle sulle quali poggia tutto. Se è vero che per un orticoltore è il proprio orticello che bisogna coltivare, qui, a Lampedusa, sotto le cupole geodetiche in canna palustre costruite proprio dai ragazzi nelle passate edizioni, a cercare un poco d’ombra, la collaborazione tra tutte le realtà isolane è spontanea quanto serena e fattiva.

I ragazzi fanno conoscenza con Legambiente, con Mediterranean Hope, con Porto M e con l’Archivio Storico di Lampedusa. Ogni pomeriggio una storia, un incontro, una declinazione diversa di questo crogiolo straordinario che è quest’isola.

PARTIAMO DALL’ORTO. Senza il coinvolgimento degli utenti del Centro Diurno, coordinati da Maria Leduisi, non sarebbe stato possibile dargli continuità e un valore aggiunto di umanità. Abbiamo vissuto una settimana di campo accanto a queste persone, sono loro che con il ritrovarsi qui, con l’imparare a declinare il linguaggio della terra in una terra che è esigua ed è soprattutto mare, venti km quadrati di roccia, stanno ritrovando se stesse. Che l’orto sia una medicina, che bisogna dedicarvisi con cura e costanza, nel corso dell’anno, seguendo le stagioni, lo sentiamo nelle parole di una orticultrice. «Abbivirari i sementi», dobbiamo dare l’acqua al semenzaio, dice, e cogliamo tenerezza, quella attenzione prestata che, alla fine, si riverbera su di noi, guarendoci. Si chiama «ortoterapia».

QUI, DOVE NON PIOVE DA APRILE e dove l’agricoltura è stata abbandonata per far posto alle più redditizie attività legate al turismo, fare l’orto è una sfida. Non solo in estate, quando al P’Orto arrivano i volontari, ma tutto l’anno, qui giungono i soggetti più vari. Dagli Amici dell’Orto Botanico di Genova alle facoltà di agraria di Palermo, Bologna e a Amsterdam, si viene qui a studiare, cercare, raccogliere e catalogare flora e fauna. rrivando qui, non si può prescindere da questi orti sociali. Gli utenti del Centro, hanno imparato a far crescere i pomodori, le melanzane e il basilico, in piccoli mercatini ne vendono i prodotti, con il ricavato hanno acquistato un barbecue, la radio, il calcio balilla, e ogni volta è motivo di soddisfazione. Emozionante è ascoltare dalle parole di Katia Billeci di come qui siano arrivati, in primavera, dalla Comunità alloggio Il gabbiano di Agrigento, dei minori non accompagnati che, sbarcati da migranti a Lampedusa, adesso vi giungono da visitatori.

UN LUOGO INCREDIBILE, questi orti, nei quali si svolge molto di più di quanto si veda. Le passate amministrazioni, da quella guidata da Giusi Nicolini all’attuale di Salvatore Martello, sostengono «P’Orto», e fanno bene, non solo perché progetto modello di agricoltura in un terreno difficile, ma in quanto qui si coniugano linguaggi, esigenze, esperienze diverse e tutte trovano una sintesi. Le diverse anime della società civile isolana sono qui rappresentate: il Forum Lampedusa Solidale, la Biblioteca dei ragazzi. L’associazione Terra! Onlus cerca il dialogo e ottiene la collaborazione di tutti. Per le sementi si prediligono le specie autoctone, sono state riscoperte varietà come la lenticchia di Linosa e il favino nero, e sono state piantate antiche varietà di vite. Perché, come ci narrano all’Archivio Storico, quest’isola era abitata da pescatori contadini che dai loro viaggi nell’Egeo o lungo le coste d’Italia portavano qui tutto quanto poteva essere coltivato e l’isola, in passato, è stato luogo di esportazione.

MENTRE LAVORAVAMO NEGLI ORTI, quasi quotidianamente abbiamo visto passare l’autobus della Croce Rossa carico di migranti scortato, davanti e indietro, dalle volanti della polizia. Ci sono stati sbarchi continui, alla spicciolata, di piccole imbarcazioni provenienti quasi tutte dalla vicina Tunisia.
Il grosso dei turisti nemmeno se ne accorge. Qui al Terra Camp se ne parla, il migrante è importante tanto quanto le tartarughe, ormai poche davvero, e il circolo locale di Legambiente che di tartarughe si occupa è intitolato a Esther Ada, una bimba africana annegata a poche bracciate dalla salvezza.
Elena Prazzi, sia nella bella sede in corso Vittorio Emanuele, in passato oggetto di attentati incendiari, sia sul posto – accovacciati in cerchio, una sera tardi, sulla spiaggia della Guitgia, quest’anno una delle spiagge più amate dalle tartarughe, all’Isola dei Conigli non vi sono state deposizioni – ci ha parlato della difficoltà estrema che, nonostante siano specie protetta, hanno le caretta caretta a venire a deporre le uova. Un cordolo e delle reti delimitano l’area della covata, volontari di Legambiente si danno il cambio ventiquattro ore su ventiquattro per vigilare. Un vecchio pescatore ci narra di quando le tartarughe erano tanto numerose che i bambini ci giocavano. Adesso sono allontanate dai troppi motori marini, uccise, soffocate dalla plastica che scambiano per meduse, pescate nelle reti a strascico.

Ci chiediamo perché a Lampedusa non venga adottata un’ordinanza sindacale per vietare le buste di plastica, limitare le bottigliette, realizzare una capillare raccolta differenziata.

Nel corso dei vari incontri, si è tentato di fornire uno spaccato il più ampio possibile delle realtà che animano la vita associativa sull’isola tutto l’anno. Incontriamo don Carmelo, il parroco, accanto a lui il rappresentante di Mediterranean Hope, espressione delle chiese protestanti. Si cerca di smontare e decifrare il mito che i media hanno ricamato attorno a Lampedusa. Qui, come dappertutto, le pulsioni sono state diverse. Non vi è stata accoglienza totale e nemmeno respingimento, quest’isola ha avuto addosso i media e non sempre la verità era quella raccontata.Nelle sue canzoni Giacomo Sferlazzo ha raccolto le storie di lampedusani che hanno vissuto quasi tutta la vita da migranti, ha messo in musica una poesia – autore il capitano Vito Gallo – che parla di una via e di una fontana, della nostalgia di chi torna e non la ritrova più, e al suo posto ci sono solo palazzi. Ludovico Ariosto qui ambienta un suo famoso duello, Sferlazzo lo ripropone.

QUESTA È LAMPEDUSA, via via cristiana, poi musulmana, poi ancora cristiana e addirittura deserta, poi ancora ripopolata. Al Santuario della Madonna di Porto Salvo si può leggere la storia, vera, di un santo monaco, un eremita, di cui narrano le vicende crociate al tempo di Re Luigi. Accoglieva chiunque qui approdasse e i due culti, musulmano e cristiano, trovavano un loro pacifico incontro. Sintonizzandosi sulle frequenze della radio, in particolare le numerose tunisine, l’Africa è vicina. Ripensare a questa isola di scambi, ascoltare la voce di chi tanto ha da narrare, ci aiuta a capire. Attorno a questi scogli la piccola e la grande storia hanno sollevato gorghi, suscitato e inabissato speranze. A Lampedusa ci sono degli orti che fanno bene a coloro che li coltivano. La festa finale, con le bruschette con pomodorini e basilico, e la felicità delle persone che di quegli orti sono le custodi non ha prezzo. “O scià” è l’intercalare che si usa sull’isola.

I ragazzi di Terra! hanno realizzato delle colorate carriole itineranti, addobbate con vele adornate di ortaggi svolazzanti. Per fare di Lampedusa, un modello di cultura consapevole, cultura e coltura di persone che si trovano in cerchio e si vogliono bene, indifferenti al colore degli occhi e della pelle.