Doveva essere il giorno della possibile negoziazione; invece è diventata una nuova giornata di scontro militare, in tutto e per tutto. Da un lato le forze di sicurezza, polizia e cecchini in giro per la capitale a stanare gli oppositori, dall’altra i gruppi armati anti governativi, intenti a rilanciare: provengono per lo più dalla parte occidentale del paese, quella più aggredita dalla disoccupazione e dal sentimento anti russo: sono organizzati, armati e neonazisti. Da Leopoli pare stiano partendo comitive di persone pronte alla guerra contro i russi, mentre le ultime notizie raccontano di assalti alle caserme e di amministratori locali che hanno consegnato le armi agli oppositori. A Kiev, la prova più clamorosa dell’organizzazione di questi gruppi, è arrivata nella mattinata, quando le foto implacabili hanno dimostrato un vero e proprio sequestro da parte dei manifestanti, di almeno una cinquantina di poliziotti (poi sarebbe diventata ufficiale la cifra di 67).

Le voci sui morti si rincorrono e benché comincino ad arrivare nella capitale anche i media occidentali, la situazione rimane confusa. Alla Cnn, il capo dell’equipe medica dei manifestanti ha parlato di un centinaio di morti e di almeno 500 feriti. Anche in questo caso la notizia non è verificata, ma le immagini di cadaveri stesi a terra o all’interno delle hall degli alberghi di Kiev, lasciano intendere che il bilancio possa essere superiore ai 50 morti – cifra tra le più credibili rispetto alle voci girate ieri.

Il ministero della Sanità ucraino ha poi confermato la morte di 64 persone negli scontri di questi giorni tra polizia e manifestanti, precisando che due vittime di ieri sarebbero poliziotti. I media locali hanno invece parlato di decine di morti, fino a 37 solo tra gli insorti.
E il presidente Yanukovich in tutto questa tragica sequela di «forse» sembra non voler mollare la presa: di fatto il ministero dell’interno ha avviato l’operazione anti terrorismo annunciata due giorni fa, autorizzando la polizia a sparare.
C’è poi il preoccupante capitolo relativo agli Usa, che hanno chiesto esplicitamente al leader ucraino – eletto regolarmente, va detto – di rinunciare allo Stato d’emergenza; il problema è che Obama avrebbe usato la parola «autodeterminazione», che potrebbe far saltare in pieno la situazione, legittimando le volontà secessionistiche in Crimea, da sempre regione filo russa.

Si aspetta solo l’ufficializzazione di quella che in tutto e per tutto appare ormai come una guerra civile. Le immagini e i video che girano in rete, raccontano di una situazione che pare ormai senza via d’uscita. Se anche arrivasse un compromesso politico tra leader, compresi quelli dell’opposizione, c’è da chiedersi se i gruppi organizzati che stanno controllando gli scontri – armati fino e preparati a intercettare i media, grazie a uffici stampa preparati all’occasione e a personale pagato per gestire al meglio la piazza – saranno in grado di accettare un compromesso. Lo stesso Yanukovich – che avrebbe dovuto sgomberare la piazza quando era gestita solo dai gruppi di estrema destra – è stretto tra due fuochi: diminuire l’intensità della repressione e quindi abbandonare il potere, dando via libera ad un governo presieduto da chi sia in grado di negoziare con l’Unione europea, oppure seguire i diktat di Mosca, che al riguardo non ha lasciato adito a dubbi. Non collaboreremo con un governo «zerbino» ma con autorità «legittime», «efficaci» e in grado di difendere «gli interessi dello stato», è l’avvertimento del premier russo Dmitri Medvedev. «Bisogna che i nostri partner abbiano autorità, che il potere in Ucraina sia legittimo ed efficace – ha detto – e che non venga calpestato come uno zerbino».

Parole che suggeriscono l’unica soluzione, per quanto cinica e terribile, per il presidente ucraino, ovvero procedere alla repressione della piazza. Altrimenti dovrebbe farsi da parte, ma per l’Ucraina rimarrebbe un problema non da poco, ovvero dove reperire – e come – quei 15 miliardi che la Russia ha già cominciato ad erogare, quale segnale di alleanza incontrovertibile.