Otto mesi di tregua nella provincia occidentale siriana di Idlib sono terminati dieci giorni fa. Da allora è ripresa, senza sosta, la battaglia tra i gruppi di opposizione jihadisti arroccati lì da anni e il fronte russo-siriano. Il bilancio è già consistente: decine di morti, di cui molti civili, due-tre (dipende dalle fonti) ospedali colpiti, decine di migliaia di sfollati che portano a 323mila il numero di rifugiati interni nel nord della Siria dallo scorso settembre.

Motivo dell’escalation nell’ultima enclave delle opposizioni (tuttora sponsorizzate da Ankara) è la campagna governativa e russa volta a fermare gli attacchi che in questi mesi i gruppi islamisti hanno condotto contro basi militari russe e governative e che – accusano Mosca e Damasco – la Turchia non ha fermato.

Diversa la versione dei jihadisti: l’obiettivo del presidente Assad è la ripresa di due autostrade, fondamentali a rimettere in piedi la disastrata economia del paese, la M5 e la M4, che collegano Aleppo a Latakia, sulla costa, e Hama, al centro, giù fino a Damasco e al confine con la Giordania. Ancora ieri le bombe, incessanti dal 26 aprile, hanno colpito il sud di Idlib, oggetto lo scorso settembre dell’accordo tra Russia e Turchia che metteva in stand by la lunga campagna del governo per la ripresa dell’intero territorio nazionale.

Ieri, secondo l’agenzia iraniana Fna, Hayat Tahrir al-Sham (i qaedisti dell’ex al Nusra) avrebbe trasferito il proprio quartier generale al confine con la Turchia per evitare i raid aerei russi, oltre cento nelle ultime 24 ore, capaci di distruggere depositi di armi e postazioni militari a Idlib e Hama. Otto i morti civili negli attacchi, secondo le opposizioni.

Disastrose le condizioni di vita dei tre milioni di civili a Idlib, oltre la metà sfollati interni e familiari degli islamisti trasferiti qui dopo accordi di evacuazione con Assad.