Dopo una settimana di tregua, contrassegnata da conferme e rinvii del dialogo tra studenti e controparte governativa, ad Hong Kong il movimento Occupy è tornato in piazza.
Migliaia le persone scese nuovamente in strada per ribadire la ferma convinzione che si debba arrivare ad un compromesso con il governo e di conseguenza con Pechino. La protesta ha fatto il giro del mondo e pareva aver aperto degli spiragli, prontamente chiusi dal governo dell’ex colonia, in cui il premier Leung – dopo un primo momento di sbandamento – era apparso nuovamente in pieno controllo.

Dalle oceaniche manifestazioni della scorsa settimana ad oggi, alcune cose sono cambiate. Leung, ad esempio, ha dovuto digerire i sospetti di corruzione che paiono metterlo nuovamente nel mirino di Pechino, come agnello sacrificale da offrire agli studenti. Il chief executive è sospettato di aver intascato una mazzetta piuttosto cospicua (5 milioni di dollari) per favorire un’azienda australiana nei suoi piani di espansione in Asia. Un’accusa uscita con un tempismo piuttosto strano. Dall’altra Occupy, dopo le rotture interne e gli assalti subiti dai cittadini contrari alla confusione e favorevoli da un ritorno alla normalità, coadiuvati da una manovalanza delinquenziale, sono ritornati a fomentare il confronto di piazza. In tutto questo, ieri, è intervenuto il premier cinese Li Keqiang, da Berlino, all’interno di un viaggio in Europa che lo vedrà anche in Italia (giovedì prossimo a Milano incontrerà anche Renzi).

«Dal ritorno di Hong Kong alla Cina, ha specificato, il governo centrale ha sempre seguito la linea di «un Paese due sistemi». Nella pratica non ci sono stati cambiamenti a questa politica». Chiarito questo, il premier ha sottolineato che «la preservazione della prosperità e stabilità di lungo termine di Hong Kong non è solo nell’interesse della Cina, ma ancor di più negli interessi della popolazione della città». Per questo, Li ha espresso l’auspicio e la convinzione che «il popolo di Hong Kong avrà la saggezza – e il governo della regione amministrativa speciale eserciterà i suoi poteri – di preservare la prosperità della città e la sua stabilità sociale».
Le parole di Li Keqiang sono arrivate proprio nel momento in cui i manifestanti, richiedevano al governo locale di riprendere immediatamente i colloqui, previsti per oggi e cancellati ieri dal chief secretary Carrie Lam, dopo la decisione dei leader della protesta di convocare una manifestazione per accrescere la pressione sulle autorità, cui chiedono di revocare le restrizioni imposte da Pechino sulle candidature alle elezioni del 2017. La federazione degli studenti di Hong Kong ha anche accusato il governo dell’ex colonia britannica di «non essere mai stato sincero nel voler ascoltare le preoccupazione del popolo di Hong Kong».

In Cina prosegue il dibattito sulla posizione della leadership riguardo l’affaire Hong Kong. «Il governo cinese non permetterà che le proteste abbiano un effetto più ampio come la rivoluzione dei gelsomini», ha detto ai media di Hong Kong Wu Qiang, un professore di scienze politiche presso la Tsinghua University di Pechino, facendo riferimento alla rivoluzione tunisina del 2011, che ha ispirato la primavera araba. Pechino – allora – annullò ogni tentativo di proteste simili in Cina.