Dopo dieci anni di stallo, l’accordo sul nucleare iraniano sembra a portata di mano. A mettere il piede sull’acceleratore sono proprio i negoziatori iraniani che, nonostante gli inviti a diffidare del «nemico» espressi dalla guida suprema Ali Khamenei, parlano di «progressi» in un contesto di colloqui «duri». Ma a frenare gli entusiasmi sulla possibilità di concludere in pochi giorni il lungo contenzioso ci ha pensato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, bocciando ogni bozza di soluzione negoziale. I colloqui dei 5+1 (membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite e la Germania) sono ripresi ieri a Ginevra.

Non sono mancate le dichiarazioni della vigilia in merito ad un’imminente soluzione della crisi. Proprio Zarif (che in un’intervista a Le Monde ha sottolineato in particolare le resistenze francesi a raggiungere un accordo), ha parlato di possibile soluzione «in sette giorni». Dal canto loro, gli Stati uniti hanno fatto sapere che è pronto un «alleggerimento» delle sanzioni (non la loro cancellazione) se l’Iran dimostrasse di voler «fermare il programma nucleare».

Tuttavia, questa volta i colloqui sono stati preceduti da una novità senza precedenti. Seppure in via informale, lo scorso fine settimana, nella cornice di un castello francese, si sono incontrati rappresentati di Stati uniti, Israele e Cina. In particolare, Jean-Christophe von Pfetten, uomo d’affari francese, ha sottolineato la novità di un «ruolo cinese» per la soluzione della crisi. Von Pfetten ha anche rivelato la partecipazione dell’ex ufficiale israeliano Doron Avital, inviato dal ministro della Difesa di Tel Aviv, per colloqui diretti con i negoziatori iraniani.

Non solo, anche Huang Baifu, generale cinese in pensione, avrebbe preso parte ai colloqui. Secondo von Pfetten, i colloqui vertevano sul tipo di controlli che l’Iran dovrebbe permettere per rendere inequivocabile, agli occhi del governo israeliano, l’intenzione di non proseguire nell’arricchimento dell’uranio.

La questione del nucleare iraniano sembra infinita. La crisi si è aperta nel 2003, quando il Consiglio nazionale della Resistenza dell’Iran ha denunciato la presenza di siti non segnalati all’Agenzia per l’energia atomica (Aiea) e lo sviluppo di programmi di arricchimento dell’uranio nelle centrali di Natanz, Arak e Saghand. In verità, già lo Shah aveva intenzione di sviluppare un programma nucleare che rendesse l’Iran capace di dotarsi della tecnologia adatta per ottenere l’intero ciclo nucleare. E così nel 1968, l’Iran firmò il Trattato di non proliferazione nucleare, ratificato nel 1970.