Quasi senza elettricità, con poca acqua pulita, costretti a vivere in tendopoli e rifugi affollati, tra le macerie, oltre due milioni di palestinesi di Gaza temono i bombardamenti israeliani e da giorni lottano con il caldo torrido dell’estate. «Sogno la doccia di casa mia, la casa che non esiste più, gli israeliani l’hanno distrutta», dice Nemer, un insegnante di Beit Hanoun che dallo scorso ottobre è sfollato cinque volte. «Viviamo in condizioni disumane, ammassati, dentro scuole e capannoni. Qui siamo in duemila e abbiamo a disposizione solo cinque bagni. Sappiamo che resteremo in queste condizioni ancora per anni», aggiunge Nemer che da qualche settimana si è sistemato con la famiglia in una scuola di Deir al Balah. A Gaza questa settimana sono previste temperature sopra i 30 gradi. Non è insolito per questa terra, ma in passato, nonostante l’elettricità a singhiozzo, la popolazione comunque riusciva a procurarsi un po’ di refrigerio. Adesso, nella catastrofe umanitaria in cui Gaza è stata spinta dall’offensiva israeliana, è impossibile.

Una letale vampata di calore, improvvisa, con uno forte spostamento d’aria hanno investito ieri una ventina di palestinesi radunati davanti a un chiosco di telefoni e sim di Jabaliya. Una bomba sganciata da un aereo israeliano è caduta a pochi metri uccidendone tre. Altri cinque sono rimasti feriti. Bombardamenti sono avvenuti ovunque nelle ultime ore, a Rafah dove i reparti corazzati israeliani stanno completando l’occupazione di Tel al Sultan rallentati dall’opposizione di dozzine di combattenti palestinesi. Un missile ha colpito un edificio uccidendo due civili. Nel campo di Nuseirat, nella parte centrale della Striscia, i colpi di un carro armato hanno centrato un appartamento, uccidendo cinque persone. A Beit Lahiya, nel nord di Gaza, pesanti raid aerei, come non si registravano da settimane, hanno distrutto case e negozi uccidendo almeno quattro palestinesi e ferendone molti altri. Nelle ultime 24 ore, secondo i dati raccolti dal ministero della Sanità, sono stati uccisi 60 palestinesi.

Restano in primo piano le uccisioni degli operatori dell’informazione a Gaza. Una indagine del Guardian rivela che sono stati uccisi 23 giornalisti di uno stesso organo di stampa, la tv Al-Aqsa legata ad Hamas. Un dato che, sottolinea il giornale britannico, suggerisce che i giornalisti palestinesi, o una parte di essi, sono considerati degli obiettivi. Un sospetto confermato proprio da un alto funzionario israeliano, Olivier Rafowicz. Ha detto a uno dei media partner del Guardian che non c’è differenza tra lavorare per un mezzo d’informazione affiliato ad Hamas ed essere un combattente nelle Brigate Qassam. «Non c’è alcuna differenza tra l’ala politica e quella militare di Hamas», ha aggiunto, costringendo l’esercito israeliano ad affermare che i soldati non prendono di mira i media. Certo i numeri di nove mesi di offensiva militare sono inquietanti. Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti, denuncia che sono stati uccisi più di 103 operatori dell’informazione nella Striscia dal 7 ottobre ad oggi. Almeno 152 secondo i dati dell’ufficio stampa governativo di Gaza.

L’esercito israeliano intanto insiste a descrivere il palestinese Fadi Al Wadiya – un fisioterapista di Medici senza Frontiere che ha ucciso due giorni fa – come un militante del Jihad islami, coinvolto «nello sviluppo dei sistemi missilistici». Affermazioni respinte con forza da Msf che sul suo account X, ha postato una foto in camice di Al Wadiya specificando che l’uomo è stato ucciso insieme ad altre cinque persone, tra cui tre bambini, mentre andava in bicicletta alla clinica dove lavorava. «Siamo indignati e condanniamo fermamente l’uccisione del nostro collega», si legge nel post. Si tratta del sesto un membro di Msf ucciso a Gaza dal 7 ottobre.

Secondo fonti palestinesi, non sarebbero svanite del tutto le possibilità che Israele e Hamas possano andare a un accordo di tregua, fondato sulla proposta Usa approvata qualche settimana fa dall’Onu. La proposta prevede il rilascio degli ostaggi israeliani a Gaza in cambio della liberazione di prigionieri politici palestinesi. Il movimento islamico sarebbe convinto che Washington farà pressioni su Benyamin Netanyahu quando Israele terminerà la sua avanzata su Rafah e le operazioni in altre parti di Gaza.  Hamas inoltre ribadisce che il «futuro della Striscia sarà deciso dal popolo palestinese e da nessun altro», in risposta alle affermazioni del Consigliere della Sicurezza israeliana Tzachi Hanegbi che ha parlato di «un governo locale ben disposto a vivere accanto a Israele e appoggiato dai Paesi arabi moderati».