«Vorrei far arrivare un messaggio alla ministra Lamorgese. Lei dice che fatti come quello di Giuseppe non vanno strumentalizzati. Ma lei dov’è? Venga nelle piazze». A parlare è Angela Lenoci, la zia del sedicenne morto in un incidente stradale mentre stava facendo uno stage in un’azienda termo-idraulica di Fermo. Il suo messaggio è stato diffuso al termine della manifestazione andata in scena ieri mattina in piazza del Popolo a Fermo, con oltre duecento persone che hanno scelto di esserci per gridare la propria rabbia verso una situazione – quella studentesca – che ritengono insostenibile in generale, e che in particolare, nelle Marche, ha portato a una vittima.

«Nessuno all’inizio ha saputo dirmi dove fosse mio nipote – dice ancora Angela Lenoci -. Né la scuola né la ditta avevano risposte. Ho dovuto chiamare l’obitorio per saperlo. Maledetti».

Sugli striscioni appesi davanti alle logge della piazza le scritte sono eloquenti: «Questo non è un incidente di percorso», «Alternanza, repressione, maturità. No alla scuola dei padroni». I volti, poi, sono quelli degli studenti accorsi da tutte le regioni, ma anche, ad esempio, quelli degli operai della Caterpillar di Jesi, che hanno mandato a Fermo una delegazione per testimoniare la loro vicinanza e per ribadire, una volta di più, che la loro lotta «è la lotta di tutti». I tentativi di saldare le lotte studentesche a quelle operaie sono testimoniate anche dalle bandiere rosse della Fiom e dell’Usb, che sin dall’inizio hanno aderito alla mobilitazione.

«Gli ultimi tragici fatti ci hanno portato qui a Fermo – scandiscono gli studenti del collettivo Depangher di Macerata –, la morte di Lenoci non è un incidente. C’è un problema strutturale, il ministro Bianchi lo sa bene ma ha scelto di voltarsi dall’altra parte. È assurdo che parli di sicurezza su lavoro in un momento catastrofico per la scuola. Noi non chiediamo un cambiamento dell’attuale modello di alternanza scuola-lavoro, ma la sua abolizione. La formazione non può essere affidata a chi mira solo allo sfruttamento degli studenti». Da qui, l’ovvia conclusione: «Giuseppe è morto in un incidente stradale, ma non doveva essere lì. Non doveva lavorare a sedici anni. Questo è un fallimento per tutto il mondo della scuola».

Attacchi duri anche al Pd, soprattutto a causa dell’incauto commento del segretario locale dei Giovani Democratici, che ha definito «macabra demagogia» questa giornata protesta. «Sono loro i responsabili di questa situazione – dicono gli studenti –, se oggi non sono qui è perché hanno paura di questa rabbia. Pensano che noi siamo un corpo estraneo, ma la verità è che il corpo estraneo sono loro e devono rendersene conto».

Il dito è puntato contro una scuola che, soprattutto negli ultimi due anni, sembra aver smesso di fare la scuola. Gli studenti si dicono stanchi della didattica a distanza, si sentono presi in giro da un esame di maturità che ha i contorni della farsa, vogliono essere ascoltati, pretendono che le loro istanze vengano prese in considerazione e si sentono ovviamente minacciati da una risposta che non c’è o che invece non è mai rivolta a loro, ma al mondo delle aziende, che li vede tutti come manodopera a costo zero da utilizzare e poi rispedire al mittente.

Al termine dei comizi, un centinaio di manifestanti si è messa in corteo da piazza del Popolo e ha raggiunto la via laterale in cui ha sede l’istituto Fermanelli, il centro di formazione che frequentava Giuseppe. Lì, tra gli applausi di alcuni ragazzi affacciati alle finestre, sono stati lasciati gli striscioni a ricordare a tutti che la lotta non si è certo esaurita con questa giornata.