L’eredità di Fela Kuti è cosa spinosa, da maneggiare con cautela. Cosa impensabile con lui in attività, è in atto oggi, a sedici anni dalla scomparsa del musicista nigeriano, una dilagante tendenza al tributo ultraortodosso, l’omaggio copia-e-incolla, con devozione e spirito emulativo che non sempre giovano, né alla musica né a chi la ri-suona.

Funziona decisamente meglio quando c’è la capacità di prendere o mantenere le debite distanze da un modello così schiacciante e francamente inarrivabile, per una serie di motivi che vanno dall’incerta ma abbagliante intonazione della sezione fiati al contesto teso e barricadero, dai personaggi e interpreti disposti sulla scena al temperamento esagerato dello stesso Fela. E poi è una questione di brevetto, perché Fela Anikulapo Kuti è l’inventore dell’afrobeat nigeriano e il supereroe irriducibile dell’indignazione panafricana. I Masters at Work e gli Antibalas, ma anche la recente felamania scoppiata in Brasile con Crioulo e Iconili tra i tanti, sono condannati a lasciare sempre un po’ di amaro in bocca.

Per questo e altro si fanno sentire dischi come il recente Red Hot + Fela (Knitting Factory) e il meno recente ma (per) sempre attuale Shrine on You – Fela Goes Classical (Sidecar), della Classica Orchestra Afrobeat.
Per la serie Red Hot, che dal 1989 imbastisce intriganti concept album collettivi al fine di racimolare fondi per la lotta all’Aids, è un ritorno sul pianeta Fela, dopo Red Hot + Riot del 2002. Il bis si spiega anche con il fatto che Fela Kuti per un simile intento resta un bersaglio grosso, se è vero il musicista ha irriso il rischio del contagio e liquidato la faccenda come una «malattia per bianchi», per poi morire effettivamente di Aids, nel 1997, a soli 58 anni. Addebito a parte, è difficile immaginare un testimonial più efficace, un miglior e più sonante monito, per la campagna della Red Hot Organization.

L’operazione dal punto di vista artistico è coordinata e orientata da Stuart Bogie (Super Happiness), con abbinamenti insoliti e ibridi avventurosi che aprono il campo alla cover spiazzante e quasi irrispettosa. Come quando il gusto obliquo e spigoloso di Spoek Mathambo incendia Zombie (con Cerebral Cortex + Frown) e Yellow Fever (con Zaki Ibrahim), mentre un sontuoso Baloji, rapper afro-belga sempre più incline a valorizzare le sue origini congolesi, trascina per la prima volta la musica di Fela (Buy Africa) nei territori effervescenti del soukous, con l’Orchestre de Katuba. Lady somma tUnE-yArDs, ?uestlove, Angelique Kidjo e Akua Naru, la voce nu-soul di Nneka si allea con Sinkane, Amayo e Superhuman Happiness per No Buredi, c’è l’approccio con i guanti a Who No Know Go No di Just A Band con Childish Gambino, e c’è l’avallo ufficiale di Tony Allen, storico batterista degli Africa ’70, che dunque della metrica afrobeat è come minimo co-autore, e nel frattempo è andato avanti. Il colpaccio però pulsa nell’arrangiamento di Sorrow, Tears & Blood distillato da Kyp Malone e Tunde Adebimpe, con il Kronos Quartet e Stuart Bogie: tripudio di cordofoni e l’intuizione di far cantare la prima parte del tema, lancinante piano elettrico nell’originale, a un melodioso e meditabondo fischio morriconesco, in stile Alessandro Alessandroni. Archi spalmati e pizzicati nelle retrovie al posto dei fiati scomposti che infestavano la versione originale, voce tenue e dolente che non si lascia scomporre da quel che va cantando (il brano racconta il sanguinoso assalto dell’esercito nigeriano alla residenza di Fela, la cosiddetta Kalakuta Republic).

Quando è poi il clavicembalo ad artigliare i velenosi incipit di No Agreement e Zombie si capisce subito che Fela è atterrato su un pianeta ancora più «esotico». Era proprio lui a dire che l’afrobeat è |una musica classica moderna» e forse si sbagliava o mentiva, non sarebbe la prima né l’ultima panzana da perdonargli, ma certo non immaginava un servizio come quello che la Classica Orchestra Afrobeat rende alle sue composizioni. Una viola da gamba lì, oboe e clarinetto là, flauto e clavicembalo, e se pensate che a questo punto suonerebbe legittimo un sequel per ocarina, c’è anche quella, accanto al fagotto di Elide Melchioni, in questo Shrine on You – Fela goes classical (cd e dvd). Le voci di Kologbo e di Seun Kuti, rispettivamente ex membro degli Africa ’70 e figlio minore, quello che si è preso sulle spalle la responsabilità dell’orchestra-tribù un tempo guidata dal padre, riportano alla realtà della matrice originale. Così come l’assetto percussivo, che sprigiona energie insospettabili ma rischia anche di vanificare l’originalità del composto.

L’orchestra a seguire ha già affrontato un repertorio se possibile ancora più complicato, con l’epica mandinga di Regard sur le passé, ma Fela è ormai repertorio consolidato e sarà il programma del concerto che la Classica Orchestra Afrobeat terrà domani sera all’Angelo Mai di Roma, per Afrodisia. È probabile che a Fela, che avrebbe compiuto 75 anni dieci giorni fa, non sarebbe piaciuto affatto. Ma magari sbagliava.