L’estate operaia a Fabriano porta con sé gli stessi sentimenti dell’attesa dell’esecuzione per i condannati a morte. La Indelfab – già Jp Industries, già Antonio Merloni – ha annunciato il licenziamento di 584 lavoratori, 305 nelle Marche e 279 a Gaifana (Perugia). Banche, crisi e pandemia sono stati i tre fattori che il padrone, Giovanni Porcarelli, ha addotto per giustificare il colpo di grazia. «C’è stato un irrigidimento bancario nell’erogazione dei fondi legato ad un contenzioso legale peraltro vinto», dice lui, ma la verità è che sono più di dieci anni che l’azienda naviga in acque stagnanti: i 584 dipendenti, infatti, lavorano a gruppi di 200, alternandosi tra cassa integrazione a casa e attività sulle linee di produzione.

È PER QUESTO CHE la notizia dell’apertura della procedura di mobilità non ha stupito praticamente nessuno. È per questo che i lavoratori sono piuttosto fatalisti sul proprio futuro. Tra un mese si vota per elezioni le regionali e la sfiducia è ai massimi storici, nessuno crede a nessuno, la rabbia che negli anni scorsi ha portato più volte a scioperi, picchetti e cortei ha ormai lasciato spazio solo a una depressione cupa e indolente.
«Una volta – confida un operaio di lungo corso, vicino ma non abbastanza alla pensione – una notizia del genere avrebbe portato immediatamente centinaia di persone davanti ai cancelli della fabbrica. Adesso, per farti capire come stiamo messi, si comincerà a discutere di cose del genere soltanto dalla settimana prossima».

FABRIANO È STATA per decenni il capoluogo morale delle Marche: qui sono cresciute svariate generazioni di classe dirigente regionale, con l’ultimo erede Gian Mario Spacca che ha però ceduto cinque anni fa, quando dopo un decennio da governatore sostenuto dal centrosinistra, prese la fatale decisione di candidarsi con Forza Italia, racimolando un poco onorevole quarto posto, senza neppure riuscire a farsi eleggere in consiglio. Un destino simile è toccato in sorte a Paola Merloni, la principessa di famiglia, entrata al Senato nel 2013 con la lista di Mario Monti e rapidamente sprofondata nell’anonimato.

Ecco, il non aver più nulla da dire né nulla da esprimere è la cifra sociale che al momento è in grado di offrire la cittadina di Fabriano. E questo per il centrosinistra marchigiano è un dramma: la destra rischia seriamente di vincere le elezioni, e al netto della chiamata alle armi per respingere i barbari, nessuno sembra avere la più pallida idea sul da farsi. Il luogo comune diventa realtà tangibile: non è che la sinistra di governo non riesce più a rappresentare gli operai, è che proprio non appare possibile trovare un linguaggio comune, un modo per intendersi. Ufficialmente tacciono tutti, ad eccezione di quelli di Dipende da Noi – la lista di sinistra capeggiata dal filosofo Roberto Mancini – che parla di necessità di «un progetto nuovo che trasformi le produzioni mirando a spazi reali di mercato, con il sostegno diretto della Regione e dello Stato» – e di Marche Coraggiose (alleati del Pd), che tramite la candidata anconetana Serena Cavalletti prova a rilanciare: «Bisognerebbe cambiare modello sociale in favore dei lavoratori, i proventi dell’automazione vanno regolamentati perché la ricchezza prodotta sia distribuita anche agli operai».

UN ALTRO DATO: a Fabriano non ci sono più multinazionali, ormai la zona industriale è un insieme di aziende che passano di mano in mano ogni pochi anni e a ogni cambio di proprietà il numero di lavoratori cala, senza mobilità verso altri luoghi di lavoro. Resiste solo la Whirlpool, che pure non sta attraversando un periodo felicissimo.

I LICENZIAMENTI alla Indelfab, a conti fatti, rappresentano solo un capitolo in più del piccolo romanzo del declino marchigiano. Benché il governo abbia imposto uno stop ai licenziamenti, Porcarelli ha deciso che non poteva fare altrimenti, e il segretario della Fiom di Ancona, Tiziano Beldomenico può solo prendere atto di una situazione insostenibile già da tempo. «Gli ammortizzatori sociali finiranno a settembre – spiega – e la proprietà, attraverso i suoi legali, ha deciso di licenziare. Non si vedono tante prospettive, possiamo solo sperare che il ministero dello Sviluppo economico decida di prorogare la cassa integrazione per 12 mesi e che l’azienda receda dai suoi propositi, ma è durissima».

LA SCONFITTA OPERAIA appare scontata: anche se dovesse nascere una nuova società, difficilmente si potranno assumere più di 150 o 200 persone. «Tra l’altro non ho la più pallida idea di dove l’azienda troverà le risorse per pagare i debiti che ha nei confronti dei lavoratori – prosegue Beldomenico -, credo che si andrà verso il fallimento e questo non c’entra niente con il Covid». L’autunno caldo non si vede, all’orizzonte i contorni sono quelli sfumati e malinconici del tramonto.