Quando è apparsa Susanna Camusso, la colonnina di mercurio del termometro segnava quota 36 gradi. Sotto il sole a picco dell’ora di pranzo, un migliaio di lavoratori hanno accolto la leader della Cgil in piazza, a Fabriano: è la prima discesa in centro storico per gli operai della Indesit, le cui azioni di protesta, fino a ieri, si erano concentrate su blitz notturni a Ca’ Maiano (sede operativa della multinazionale) e blocchi della statale all’altezza degli stabilimenti di Melano, tra Fabriano e Sassoferrato.
Per l’atteso incontro, i sindacati avevano proclamato quattro ore di sciopero a ogni fine turno e – ha annunciato Andrea Cocco della Fim Cisl – ad aderire sarebbe stato il 90% dei dipendenti. «I benefattori – ha detto la sindacalista – non sono i Merloni. È vero che hanno dato lavoro al territorio, ma è vero anche che in cambio hanno ricevuto tantissimo e, soprattutto, hanno ottenuto profitti altissimi, che tra l’altro continuano a durare». Il fatto che i bilanci dell’azienda siano sostanzialmente sani non è un particolare che ha colpito i signori e padroni della Indesit, intenzionati a tagliare 1425 lavoratori in Italia per spostare parte della produzione tra Turchia e Polonia.

«Quello che sta succedendo – ha proseguito Camusso – è esattamente quello che non deve accadere: scommettono sul fallimento del Paese, pensano che sia meglio andare via adesso, prima che la situazione precipiti. Ma non possono portare via gli stabilimenti e il lavoro mentre qui si continua a fare utile. Ai figli di Vittorio Merloni chiediamo di scommettere positivamente sull’Italia. Vorrei far presente che in Turchia stanno impedendo proprio in questi giorni il normale andamento di una vera democrazia…», riferendosi ai fatti di Gezi Park a Istanbul e alla brutale repressione messa in atto dal premier Erdogan.

L’appello mira a toccare il cuore dei proprietari di quello che era – e, a dare un’occhiata ai numeri, potrebbe tranquillamente continuare a essere – il colosso italiano dell’elettrodomestico, capace di vendere i propri prodotti più o meno ovunque, in Italia e nel resto del mondo: «Oggi – la conclusione – Fabriano si sente tradita dalle promesse delle precedenti generazioni». Applausi dalla piazza.
Mentre venticinque dirigenti stanno andando verso l’accordo per un «licenziamento incentivato», proseguono ancora le trattative tra l’azienda e i sindacati. Le questioni sul tavolo sono tre: il ricorso a contratti part-time o di solidarietà a trenta ore settimanali per i prossimi due anni, la dilatazione dei tempi per la dismissione di Melano (che potrebbe slittare al 2015) e la richiesta, avanzata dalle parti sociali, di mobilità volontaria incentivata da una «consistente buonuscita».

La Fiom, intanto, prova a uscire allo scoperto: «Vogliamo portare a Roma la vertenza, nei tavoli che contano, quelli in cui ci si siede con l’azienda e, soprattutto, con il governo», ha spiegato il segretario provinciale Fabrizio Bassotti a margine dell’incontro con Susanna Camusso. Intanto, dalla Regione Marche informano che lunedì prossimo il governatore Gian Mario Spacca sarà impegnato a Roma in un incontro con il ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, per «approfondire tutte le principali situazioni di crisi aperte nelle Marche e di competenza del ministero dello Sviluppo economico».

Messa così, il meeting potrebbe durare tranquillamente un paio di giorni: si partirà dalla Indesit, ma le situazioni di crisi, tra Pesaro e Ascoli, sono centinaia: il tanto decantato modello di sviluppo della regione al plurale fa acqua da tutte le parti. Dopo essere stata a Fabriano, Camusso ha incontrato ad Ancona i lavoratori di Cotton Club, Cava Gola della Rossa, Quadrilatero ed ex Antonio Merloni. Poi, ci sarebbe da considerare tutto il resto del fabrianese, il tramonto del comparto calzaturiero di Fermo e quella che, dal 2008 a oggi, forse ha subito di più la crisi: la zona industriale di Ascoli Piceno, un tempo paese dei balocchi per multinazionali e avventurieri locali in quanto territorio più a nord coperto dalla dismessa Cassa del Mezzogiorno, adesso cimitero di fabbriche vuote.