Dall’unità nazionale alla fiducia sul decretone Coronavirus il percorso è stato breve e quasi obbligato dalla paura del contagio. Anche le opposizioni che davanti all’emergenza sono state consultate in una serie di appuntamenti all’insegna della collaborazione, senza alcun risultato, sanno perfettamente che “normali” sedute di aula al senato, con centinaia di voti sugli emendamenti, non sarebbero state possibili. E così il governo ieri pomeriggio durante la conferenza dei capigruppo del senato – l’organismo di una quindicina di persone che si occupa di programmare i lavori e che in queste giornate di paura si riunisce nell’aula dell’assemblea così che i senatori possano sedere a distanza – ha annunciato che chiederà la fiducia sul decreto che avrebbe dovuto unire maggioranza e minoranza in nome del superiore interesse nazionali. Niente emendamenti, un solo voto blindato dal governo sulla legge che converte un decreto di 127 articoli. I senatori sfileranno uno alla volta in aula e tutto sarà più sicuro.

Per il tanto auspicato controllo parlamentare bisognerà attendere giorni migliori. L’esame in commissione del provvedimento è cominciato solo ieri pomeriggio, con l’aula già convocata per questa mattina (ci saranno semi deserte dichiarazioni di voto). Domani la fiducia e le lunghe procedure di voto che cominceranno prima dell’una. Nella sostanza non c’è stata alcuna possibilità del parlamento di scartare dalle decisioni del governo, neanche in questa che è una delle pochissime occasioni per l’assemblea legislativa di inserirsi nella gestione della crisi. Il decreto Cura Italia, infatti, ha assorbito gli altri decreti emanati a marzo diventando così l’unico atto di legge sottoposto all’approvazione delle camere, per quanto già in vigore per motivi di «necessità e urgenza». Gli altri sono stati decreti del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) che non sono soggetti né al controllo delle camere né a quello del Quirinale.

Al senato il governo non può contare su una maggioranza ampia. La pandemia ha bloccato a lungo i lavori del parlamento e così l’ultimo voto di fiducia del senato risale a un mese e mezzo fa, sul decreto milleproroghe. Nei precedenti due mesi le fiducie erano state ben cinque, con un massimo di 166 voti per Conte e un minimo di 154, quindi sotto la soglia della maggioranza assoluta. Ma naturalmente nessuno pensa a un’imboscata in un momento del genere; un numero prevedibilmente alto di assenti favorirà una più che sufficiente maggioranza relativa per il governo.

Nelle poche ore che ha avuto a disposizione per il lavoro referente, la commissione bilancio ha esaminato solo gli emendamenti segnalati dai gruppi (circa un terzo di quelli totali) bocciando tutti quelli delle opposizioni. Poche le modifiche al testo di partenza che impiega i famosi 25 miliardi: sono state snellite le procedure per i concorsi pubblici, abbreviato l’iter per distribuire ai comuni i contributi per gli affitti (proposta di Leu), elargiti due milioni anche alle scuole paritarie (proposta del Pd, di Iv e dell’opposizione). Alla fine è sparita anche la novità più lungamente annunciata e dibattuta: l’esclusione della responsabilità civile per i medici che hanno lavorato in condizioni di emergenza e che rischiano, tra qualche settimana, di dover affrontare le cause delle vittime e degli eredi dei defunti per il coronavirus. Gli emendamenti erano stati presentati sia dall’opposizione che dalla maggioranza, ma sono stati tutti ritirati dopo che i sindacati e gli ordini dei medici hanno denunciato che dietro la buona intenzione di alzare uno scudo su medici e infermieri ce n’era una cattiva di rendere immuni anche le strutture sanitarie che non hanno saputo proteggere i loro dipendenti. O – con le proposte di Lega, Fd’I e Cambiamo – addirittura alzare uno scudo a protezione delle responsabilità delle Regioni. Il problema per gli infermieri e i medici resta, ma alle loro organizzazioni è stato promesso che troveranno un accordo direttamente con il governo per difendere i soli «esercenti le professioni sanitarie». Anche in questo caso al parlamento toccherà la ratifica.