Cesenatico è un grattacielo a perpendicolo sul mare, è un chiosco di piadine, sono le casette basse e colorate lungo il canale che per Natale ospita il presepe sui trabaccoli illuminati. Poi, come si esce dal paesello verso l’interno, la campagna ordinata di Sala e di Fenili fa da introduzione alle colline.

Qui si allenava Marco Pantani, da bambino come da campione. Le stesse strade, gli stessi compagni, le guardie del corpo che gli aveva messo attorno il comandante partigiano Pezzi. Allenamenti da fachiro, senza ammennicoli tecnologici a registrare wattaggio, battiti e calorie, senza nemmeno fermarsi a bere da una fontanella.

Da Cesenatico parte e a Cesenatico arriva la tappa, ricalcando nei suoi 200 km le strade percorse mille volte dal Pirata. Un lungo omaggio ad un eroe tragico del ciclismo. Ma quale fu la tragedia del corridore Pantani e del ragazzo Marco? Se si segue il filo accidentato dei suoi atteggiamenti, delle sue episodiche resurrezioni dopo la caduta di Madonna di Campiglio, di ciò che ci ha lasciato scritto in quella stanzaccia di Rimini in cui trovò la morte per San Valentino, quel poco che si può capire è che la tragedia non sta negli atti ufficiali, nelle ricostruzioni incongruenti relative tanto alla squalifica quanto alla morte. La tragedia sta nella sua auto-assoluzione.

Che questa sentenza emessa su se stesso fosse basata su prove certe, se fosse negazione della realtà, se fosse un “perché proprio io, se così fan tutti?”, se fosse un risarcimento per le tante sfortune che hanno impedito a Pantani vittorie a ripetizione, ecco, questo conta poco. In condizioni analoghe, anzi più gravi – Merckx fu squalificato, Pantani fermato per motivi precauzionali – il belga rimontò in bicicletta e vinse tutto, il romagnolo si arrese. Intorno al lui, il vuoto creato dagli altri e da se stesso. Solo e solitario, come solo e solitario tagliava i traguardi prima di tutti, senza esultare, perché il traguardo non è altro che l’ennesimo punto di partenza.

La tappa si svolge sotto una pioggia scrosciante. La fuga di giornata prende subito un vantaggio-monstre, in gruppo solo Pozzovivo sembra avere un po’ di verve per fare corsa dura ma, non coadiuvato, desiste. Più avanti, tra i fuggiaschi, va in scena una commedia dall’esito scontato. Perché c’è un ecuadoriano tra i protagonisti, Narvaez, e ultimamente al Giro quando di mezzo c’è un ecuadoriano non c’è trippa per gatti. L’ultimo a resistergli è l’ucraino Padun, che inscena un inseguimento crudele, ma è Narvaez a trionfare sul lungomare a braccia alzate.