«Anche stavolta proveremo a fare un esercizio di ri-semantizzazione, in un’ottica che definire femminista sarebbe forse troppo semplice» spiega Virginia Sommadossi, creative director di Centrale Fies, lo spazio dedicato alla performance a Dro, in provincia di Treno. L’occasione è Witches Brand New, quattro giorni di lezioni e letture performative per ripensare il concetto di «strega» coinvolgendo il territorio e le sue energie.

«QUESTA esperienza nasce dalle ceneri di Trentino Brand New, un laboratorio di comunicazione territoriale che si era trasformato in un laboratorio politico. Cos’è davvero il Trentino, quanto è aderente alla narrazione più diffusa, cosa avrebbe da raccontare? Le destinazioni turistiche vengono presentate come paradisi mentre in realtà accade molto altro. Queste traslitterazioni avvengono a Centrale Fies perché è parte di ciò che la performance ci ha insegnato, il fatto che anche il corpo può essere paesaggio, in una tensione dalle idee alle pratiche» spiega ancora Sommadossi, che ha curato il programma di questo nuovo formato insieme a Elisa Di Liberato e Lucrezia Di Carne.

L’appuntamento è il 21 marzo e poi il 4, 5 e 6 aprile. «Gli incontri, i laboratori, i workshop sono legati alla figura della strega ma non la affrontano in maniera tematica, a parte il contributo di Stefania Santoni, che racconterà da un punto di vista storico quelle che erano definite le «streghe delle montagne». Quello che mi interessava era unire pratiche che vanno dalla moda a azioni di co-learning fino agli incontri con ricercatrici come Giulia Damiani, che racconta come un gruppo di femministe napoletane, Le Nemesiache, abbiano modificato il tessuto urbano, proponendo poi un enactment di alcune loro azioni performative: un gesto molto stregonesco, rifare le stesse azioni con le stesse parole, un atto magico per tramandare conoscenza». In quelle giornate condivideranno saperi anche Barbara Bologna, Maria Chemello e Giulia Crispiani.

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Agitu Fellowship, l’inclusione nel mondo dell’arteIL SENSO di Witches Brand New è proporre una formazione comunitaria che investe lo stesso team della Centrale. «Sono anni che lavoriamo sui razzismi e sui femminismi, ma ci siamo detti che non era abbastanza: dovevamo guardarci come istituzione, facendoci porosi, imparando e cercando anche noi di passare dalla teoria alla concretezza. Un passaggio delicato e a volte frustrante». Come racconta Sommadossi, che si occupa anche di identità visiva, abbracciare questi temi è una grande sfida anche dal punto di vista della comunicazione. «Con undici partner di altrettanti Paesi portiamo avanti il festival Feminist Futures, e ci rendiamo conto di come l’idea di femminismo sia complessa: mentre noi ragioniamo sul femminismo senza generi, la Polonia lotta per l’aborto. Ciò significa che il genere in quel contesto è assolutamente necessario. Per comunicare tutto questo all’esterno serve un confronto continuo con le comunità e i movimenti».

Centrale Fies foto di Luca Chistè

Un lavoro fruttuoso come sa chi segue le attività di Centrale Fies, che nel campo delle arti performative assume spesso il ruolo di avanguardia dal punto di vista concettuale. «Immaginari, temi sui quali a volte arriviamo prima, grazie alla performance e agli studiosi che abitano il luogo, non li abbandoniamo per tempo, a prescindere se poi ci sia o meno un momento di hype o moda: rimangono in circolo finché non sono esauriti, finché non si trasformano in altro. Naturalmente non sono mai risposte, sono sempre domande, ma a noi va bene, siamo per la complessità anche quando ci mette in confusione». Un esempio di questa complessità è legato alla Agitu Fellowship, un’opportunità pensata per artisti e artiste razializzati o appartenenti a minoranze etniche (la call, insieme a quella più «aperta» di Live Works, è valida fino al 29 marzo): «Abbiamo ricevuto candidature da parte di ragazze del Sud Italia, che si sentono italiane razializzate. Per me è stato uno svelamento: in questi modi la Centrale è un luogo in cui emergono processi in corso».