Forse Gabriele Muccino ha capito tutto: la famiglia è il valore assoluto per ogni essere umano ma, d’altro canto, dentro la stessa ci si odia felicemente per tutta la vita, nessuno è sincero con l’altro, ogni desiderio è colmato da un egoismo irrefrenabile, l’avidità regna col sorriso del Joker sulla carta del jolly. Come in molti progetti seriali la prima scena è un flashback: una scritta in sovrimpressione data 4 giugno 2010. È notte, sta piovendo, un uomo esce dalla macchina con aria contrita, la moglie gli va incontro preoccupata. Che è successo? Titoli di testa anni Cinquanta, una puntina gira sui solchi di un vinile lasciando una corposa scia di sangue; dei pupazzetti (come gli sposi sulle torte nuziali) in varie fogge e pose sono ritratti velocemente in movimento sul disco, dettagli come calcomanie di fiori, puzzle, ritagli di giornali ben ordinati nell’inquadratura mentre Lorenzo Cherubini, alias Jovanotti, canta con quella voce tutta sua un pezzo inedito composto appositamente per la serie. Muccino sa il fatto suo, manovra (adora manovrare) con sapienza una coralità di personaggi, conosce le regole della long term story: semina ogni tot minuti un indizio cruciale allo svolgimento dei fatti, al procedere – avanti e indietro – del plot narrativo orizzontale. Tratto liberamente dal lungometraggio omonimo, qui si seguono le altalenanti vicende di due famiglie, la ricca e la povera, i Ristuccia – proprietari del San Pietro (dal nome del capofamiglia, interpretato da Francesco Acquaroli) – e i Mariani, altro ramo della famiglia, meno riuscito in campo economico e sociale.

NELLA PRIMA PUNTATA presentata alla Festa del Cinema di Roma viene preparato e poi festeggiato il settantesimo compleanno di Pietro Ristuccia, un pater familias che non ama le celebrazioni né i convenevoli, un uomo che si dichiara al nipote questuante come self-made man, un uomo spacciato fin dalle prime scene e che infatti, nell’ultima scena, ha un infarto a fine festa, rimasto solo con la moglie Alba (Laura Morante) a chiudere baracca.
I figli del Ristuccia sono tre: Sara (Silvia D’Amico), la preferita, moglie tradita dal marito assente, Carlo (Francesco Scianna), che lavora all’ombra del padre ma ha in ballo di intraprendere una attività tutta sua, Paolo (Simone Liberati), scrittore, di ritorno dall’estero per frequentare il figlio che vede poco per via del divorzio dalla madre.
La famiglia Mariani è composta da Maria, sorella di Pietro (Paola Sotgiu), madre di Sandro (Valerio Aprea) e Riccardo (Alessio Moneta): il primo malato di una patologia degenerativa, il secondo perso nel gioco d’azzardo, in debito di cinquantamila euro con malavitosi pronti a tutto, in procinto di avere un figlio dalla compagna Luana (interpretata dalla cantante Emma Marrone).

I PERSONAGGI, nel primo episodio, sono tutti raccontati da veloci ed efficaci pennellate che li disegnano nel loro essere portatori di un segno preciso di senso – che sia la fiducia, la falsità, la grettezza, la violenza, la povertà d’animo – mentre si muovono sulla scacchiera del tempo e dello spazio, barcamenandosi tra attrazione e insicurezza, litigate e baci con la lingua, battutacce e sussurri sensuali tra ansimi pre-orgasmo. Gli ingredienti succosi messi in campo sono: il segreto, l’infedeltà, il ricatto, il rapporto coi figli dopo divorzi spigolosi, la famiglia come dovere, come legame di sangue, come vincolo castrante. Scritto, da una idea di Muccino, dal regista insieme a Barbara Petronio, Andrea Nobile, Gabriele Galli, Camilla Buizza. Otto puntate da cinquanta minuti l’una in onda su Sky, che produce, nel dicembre 2021.