Barbara Hepworth al lavoro nel 1949, foto Hans Wild (courtesy Bowness)

 

Avvicinandosi alla punta più meridionale della Cornovaglia la strada si fa sempre più stretta e corre tra siepi di prugnolo, rovi, felci, pochissimi alberi. St Ives si vede scendendo verso la costa. È un agglomerato di case color cenere mescolate ad altre intonacate di un bianco panna, con i tetti arrossati dai licheni e qualche giardino circondato da muri coperti di masembriantemo. È uno dei centri più affollati della Cornovaglia, non è più il villaggio di pescatori, il luogo della memoria di Virginia Woolf, ma ne mantiene il fascino. È ancora un’appendice di terra circondata dal mare, ricoperta da piccole abitazioni con muri saldi per resistere al vento e ai maremoti, con spiagge lunghe di sabbia chiara che la sera, quando il mare si ritira per la bassa marea, si riempiono dei riflessi di quella luce plumbea che allaga le pozze, che scivola sulla rena rendendola un campo di velluto, mentre il mare lontano diventa una landa in cui si getta la macchia purpurea del sole facendone ribollire l’acqua, e tutto diventa, come in Gita al faro, un paesaggio dell’anima. È stato proprio questo paesaggio, modellato dalla speciale qualità di questa luce fredda, pallida, impasto di umidità e di vento, ad attirare nella prima metà del Novecento molti artisti. Non figurativi: a rendere queste sensazioni è tanto più adatta l’arte astratta.
Fu grazie alla nuova ferrovia della Great Western Railway che questi luoghi divennero accessibili alla fine del XIX secolo. Leslie Stephen, padre di Virginia Woolf, arrivò a St Ives nel 1881. Talland House, la casa affittata per l’estate, e i suoi dintorni, divennero il teatro di ciò che la Woolf nelle sue memorie definì «un’introduzione, la migliore che si possa concepire, alla vita». Un mondo con pochi protagonisti ma brulicante di comparse: gli amici del padre come John Addington Symons o Henry James, le governanti, i marinai e gli abitanti di St Ives. Tra questi ultimi c’era già quel singolare, ingenuo artista-marinaio di Alfred Wallis, una specie di Rousseau che dipingeva con vernici per barche e senza libri da disegno. Nel 1928, grazie a quella stessa linea ferroviaria che ancora corre sopra la costa tra St Erth e St Ives, arrivarono nel paese Ben Nicholson e Christopher Wood. Fu la natura della Cornovaglia inalveata nelle baie intorno a St Ives ad attrarre i due pittori, e questa e le pitture elementari, naïf, di Wallis, a spingere Nicholson verso l’astrazione.
In quegli stessi anni venti, con un percorso diverso, anche la futura seconda moglie di Nicholson, Barbara Hepworth, arrivava a una propria idea di astrazione ragionando con il compagno di studi Henry Moore. In un successivo lungo viaggio in Italia imparava a scolpire il marmo e si sposava una prima volta. Quando cominciò a frequentare Nicholson, nel 1931, il suo lavoro era a una svolta, stava superando le influenze surrealiste; il loro rapporto si trasformò subito in una relazione; insieme fecero visita a Picasso e a Brancusi.
Le sculture della Hepworth si ridussero sempre più all’essenziale, cercando una sintesi rigorosa che circoscrive gli spazi, i vuoti, in una tramatura di forme in rapporto con l’ambiente circostante, nel variare delle luci, nei riflessi sulle superfici levigate, nelle ombre determinate dalle cavità o dalle aree scabre, con una rispondenza tra ciò che l’opera suggerisce e la qualità intrinseca del materiale, in una sintonia tra idee, memoria, sensazioni tattili, che può emergere solo grazie a un corpo-a-corpo con marmo, pietra, gesso, legno. La lezione di Brancusi si fece sempre più evidente.
Barbara e Ben, sposati da pochi mesi, arrivarono in Cornovaglia nel 1939, con lo scoppio della guerra, su invito di Adrian Stokes; li seguirono anche altri artisti come Sutherland e il grande costruttivista russo Naum Gabo. Vivevano e lavoravano tra Carbis Bay e St Ives: Nicholson si occupava di dipinti sempre più grandi, lei dedicava il proprio tempo alla famiglia e creava sculture in gesso la notte, in uno spazio angusto. A quel punto il loro rapporto si incrina. Nel settembre 1949, in un’asta pubblica, la Hepworth si aggiudica parte della Trewyn House. L’edificio d’epoca georgiana e il giardino diventeranno lo studio e l’abitazione principale dell’artista fino alla morte, mantenendo quel nome, Trewyn, «il posto giusto», un approdo sicuro, per richiamare le origini marinare del fabbricato e dell’intero borgo. È un cambiamento che ha effetti profondi sulla sua vita: un anno dopo Barbara e Ben si separano.
Il nuovo Trewyn Studio è «un luogo genuino; curiosamente, uno dei pochi posti qui in cui è rimasta una relazione genuina con il paesaggio». Uno spazio molto luminoso nella parte alta del villaggio, ricco di un luce naturale che «avvolge lo spirito». Dopo la guerra St Ives si stava trasformando in una località turistica, ma gli alti muri in granito e gli alberi del giardino proteggevano (e proteggono) l’abitazione della Hepworth. Al di là del muro emerge la mole della torre della St Ives Parish Church; più in basso la baia. È quasi invisibile dal giardino ma il mare diventa, nei ricordi dell’artista, tutt’uno con lo studio, sentito come un prolungamento delle rocce granitiche del golfo. La Hepworth torna quindi a esplorare i materiali in piena luce, in molti casi all’aperto. Le idee germogliate prima della guerra trovano ora un’espressione piena, mentre il paesaggio «barbaro e magico» dei dintorni di St Ives fa emergere i ricordi dell’infanzia nello Yorkshire, fornendo lo spunto per concretizzare attraverso l’atto fisico dell’intaglio le sensazioni ancorate alla memoria dei luoghi: «tutti i miei primi ricordi sono di forme, sagome e textures. Muovendomi nel paesaggio del West Riding con mio padre sulla sua auto, le colline erano sculture, le strade ne definivano la forma. Soprattutto, c’era la sensazione di muoversi fisicamente sulla superficie dei volumi pieni e delle concavità, attraverso avvallamenti e vette – sentire, toccare, vedere, tramite la mente, la mano e l’occhio. Questa sensazione non mi ha mai lasciato».
È grazie soprattutto alla presenza della Hepworth e di Nicholson che negli anni cinquanta St Ives divenne il laboratorio dell’ala più radicale dell’astrattismo inglese. Così l’arrivo di Francis Bacon nel 1959 sembrò una provocazione. Il suo studio, luminosissimo, così diverso dagli spazi angusti e soffocanti cui era abituato a Londra, si affacciava su Porthmeor beach. Era accanto al vecchio laboratorio che Nicholson, nel frattempo trasferitosi in Svizzera con la nuova moglie, aveva lasciato a Patrick Heron, allora giovane promessa del fronte astratto. Arricchiti dagli scambi dialettici, a volte violenti, con Heron e gli altri astrattisti, quei mesi a St Ives segnarono uno scatto in avanti nelle ricerche di Bacon e una fuga temporanea dai propri demoni.
Nel decennio seguente la Heptworth raggiunse un successo internazionale sancito da commissioni importanti come il grande bronzo (Single Form, 1964) per la sede delle Nazioni Unite a New York, e una serie di retrospettive, tra cui quella alla Tate del 1968. Poté così acquistare il Palais de Dance, l’ex cinema di fronte al Trewyn Studio, e altri pezzi di giardino che cominciò a pensare come un museo all’aperto delle proprie sculture di grandi dimensioni, coltivandovi fiori e piante, legando la loro scelta alle sculture stesse che vi venivano poste o vi transitavano per qualche tempo. Morì nel 1975. Gli spazi dello studio e del giardino furono trasformati già l’anno successivo in archivio e in museo con oggetti e strumenti di lavoro, opere finite e non. Viste qui, a pochi passi dalla costa, non si può fare a meno di pensare che le sculture siano state levigate dalle onde, che i saliscendi e le curve del marmo non facciano altro che seguire il profilo delle colline della Cornovaglia o che quelle stringhe che la Hepworth inserisce nelle cavità come linee di forza nel vuoto non siano altro che le funi tese delle navi ancorate nella baia.
Nel 1993, sull’altro lato del villaggio, tra Porthmeor beach e il Barnoon Cemetary dove giace Wallis, ha aperto la Tate St Ives. Museo magnifico: racconta bene l’incredibile agglomerato culturale maturato tra queste case di pescatori fra Otto e Novecento. Alla fine, in dialogo con le opere degli astrattisti della generazione successiva – Heron, Terry Frost, Peter Layon – e il mare, è posta una scultura in legno della Hepworth, Hollow Form with White (1965). Fuori gli urli dei bambini: in spiaggia è arrivata una foca. Il profilo che affiora dall’acqua è una curva perfetta. Sembra fatta di bronzo.