Reenactment, rimessa in azione, rievocazione, rinascita. Con spirito contemporaneo. Guardare al passato con gli occhi di oggi, senza il timore di dare scossoni ai «classici», ma reiventandoli in piena libertà. Approccio che scorre nella 37a edizione di Bolzano Danza, in corso fino al 30 luglio: ha attraversato l’inaugurazione con i graffianti Swan Lakes della Gauthier Dance di Stoccarda, suggestione cult Il lago dei cigni di Petipa / Ivanov del 1895; anima il progetto Swans never die, declinazioni a sorpresa da La morte del cigno di Fokine / Saint-Saëns per Anna Pavlova, che coinvolge al festival oltre a Gauthier, autori come Chiara Bersani, Silvia Gribaudi, Radhouane El Meddeb, Olivier Dubois, visto per la città travestito da cigno prima del debutto assoluto del suo Swan Blast.

LO SGUARDO tra presente e passato ha fatto viaggiare il pubblico anche grazie a l’iconico duo da Eden di Maguy Marin (1986), interpretato con luminosità da Emiliana Campo e Nicola Stasi della MM Contemporary Dance Company di Michele Merola, e si è intrecciato in Dialogo terzo: in a Landscape, creazione ipnotica di Alessandro Sciarroni su In a Landscape di John Cage, giocata su uno sviluppo minimale quanto ricco della pratica con l’hula hoop. Interpreti estatici nello scenario a cielo aperto della Cantina Kettmeir di Caldaro, i danzatori di CollettivO CineticO.
Nel progetto di Emanuele Masi, direttore di Bolzano Danza, il reenactment fa riferimento anche all’idea stessa di festival e quindi al rapporto tra programmazione, pubblico, città. La parte del progetto su La morte del cigno, curata dall’istrionico Eric Gauthier, vive non a caso dentro e fuori dal teatro con The Dying Swans Live Experience, al Comunale, e con il trekking urbano U-Game nel quartiere Don Bosco. Due diverse modalità a partire da 16 assoli ideati e filmati in piena pandemia per i 16 danzatori della Gauthier Dance, risultato della collaborazione tra 16 coreografi, 16 compositori, 16 filmmaker. Tra i pezzi live, presentati in alternanza con i film in teatro, ha svettato drops di Edward Clug con Alessio Marchini, nei film coinvolge il thriller tra foresta e città Oblong Blur di Nicki Lizsta, video artist Christopher Bühler; Covid Cage, dello stesso Gauthier, girato in una casa, è il cigno impazzito bloccato in lockdown: merita vederli tutti.

The Dying Swans, foto di Jeanette Bak

NON SOLO cigni, però, a Bolzano. Si interroga sui destini dell’amore oggi, sulla difficoltà di concedersi totalmente all’altro, l’imprevedibile Giselle della compagnia madrilena Kor’sia fondata e diretta da due danzatori e coreografi italianissimi, Antonio De Rosa e Mattia Russo, nel giugno 22 allo Chaillot di Parigi. La riflessione parte da Giselle come personaggio iconico, simbolo eterno del balletto romantico, figura che spinge i due talentuosi giovani autori, in scena con i loro otto danzatori, a ragionare sull’amore nell’era tecnologica, con quei devices in cui cercare affannosamente il riflesso di se stessi. De Rosa e Russo (drammaturgia in collaborazione con Gaia Clotilde Chernetich e Giuseppe Dagostino) sviluppano nella prima parte una coreografia collettiva fatta di solitudini, con mazze da golf usate come aste degli smartphone, computer in cui troneggia la parola LOVE, ritmo e stile del movimento di pungente nervosismo. Anche se, qua è là, appaiono squarci romantici, come i mazzi di margherite che ci riportano all’originale del 1841.

UNA SUADENTE voce fuori scena (testo che stringato sarebbe forse più efficace) propone estenuanti soluzioni new age come rimedio alla difficoltà di ritrovare in sé un sentimento incondizionato. Funziona però il fatto che nel frattempo la danza si è trasformata, il colore della scena è diventato lattiginoso, il contatto tra i corpi morbidamente ritrovato, ma siamo nel mondo del secondo atto, nell’aldilà, nel ricordo delle Villi, le fanciulle morte per amore.
Dov’è allora la salvezza? Diceva del balletto del 1841, Carla Fracci: «l’atto della vita è morto, l’atto della morte è vivo. Vivo è il sogno». Di questo drammatico conflitto ci parla con originalità Kor’sia, partitura di Adam rielaborata con inquieti cambi di tempo, scenografia a tinte dense di Amber Vandenhoeck, da un dipinto del romantico Caspar David Friedrich.