A Bolsena la geotermia è un lago di no
Energie Molti comuni dell’alto Lazio si stanno opponendo contro la costruzione di centrali geotermiche che potrebbero stressare zone a rischio sismico
Energie Molti comuni dell’alto Lazio si stanno opponendo contro la costruzione di centrali geotermiche che potrebbero stressare zone a rischio sismico
Con i suoi 115 kmq di superficie il lago di Bolsena, adagiato nell’alto Lazio e affacciato su Umbria e Toscana, è il bacino di origine vulcanica più grande d’Europa. Sorto dal collasso del vulcano Vulsinio, la sua particolarità è quella di aver mantenuto nel tempo la verginità dell’area, con costruzioni non invasive e una naturale cornice di vegetazione. Eppure il suo ecosistema delicato è sotto attacco da diversi fronti, ecco perché le acque trasparenti e il territorio che le circonda sono costantemente monitorati dagli abitanti dei numerosi Paesi circostanti.
In particolare questo momento vede la massiccia opposizione di tutti i comuni del comprensorio e delle associazioni ambientaliste contro l’intenzione di costruire centrali geotermiche. Il progetto pilota più imminente è quello che riguarda il comune di Castel Giorgio, a nord del lago, avanzato dalla ditta privata Itw&Lkw Geotermia Italia Spa e finanziato con i fondi europei per le energie rinnovabili. A preoccupare i comitati è il fatto che a differenza del geotermico per il teleriscaldamento, questa centrale, orientata alla produzione di energia elettrica, che prevede 9 pozzi a 3 km di profondità e il trasferimento di 1000 tonnellate all’ora di fluido a una distanza di 4 km sotto il bacino del Tevere e del lago, inciderebbe pericolosamente sulla stabilità del sottosuolo, provocando pericolosi stress termici e pressori in una zona a rischio sismico.
«Le criticità che ho sollevato sono che quelle di un’area ad elevatissima sismicità, come la zona che va da Siena al Lago di Bolsena» ha spiegato Giuseppe Mastrolorenzo, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, più volte intervenuto sull’argomento e che in passato ha contribuito a fermare un progetto simile nei Campi Flegrei, denunciando «il rischio che l’attività di trivellazione, estrazione e reiniezione dei fluidi potesse causare terremoti indotti, che sono ancora più forti; subsidenza nel suolo e dispersione di sostanze dannose all’interno delle falde idropotabili».
Il vulcanologo ha spiegato come il trasferimento dei fluidi estratti dai pozzi e reiniettati a distanza previsto dalle centrali a sistema binario possa ragionevolmente non funzionare nelle caldere vulcaniche come quella di Bolsena, caratterizzate da discontinuità verticali e laterali e dalle faglie.
La contaminazione della falda acquifera superficiale che ne conseguirebbe si andrebbe a sommare a quella dovuta al reflusso dei diserbanti utilizzati nelle monocolture, soprattutto dei più volte denunciati noccioleti per la produzione della Nutella e dalle acque fognarie, in passato tamponate da un collettore costruito negli anni ’90 ma oggi obsoleto e mal funzionante.
Nonostante sia protetto dalla denominazione di SIC (Sito di Interesse Comunitario) e ZPS (Zona di Protezione Speciale) della Rete Natura 2000, istituita dall’Unione Europea per salvaguardare gli habitat naturali e le specie minacciate, il lago ha subito un progressivo degrado delle acque, fino al secolo scorso ancora potabili, perché a basso contenuto di nutrienti e oggi pericolosamente orientate all’eutrofizzazione.
Alimentato da acqua piovana e da piccole sorgenti, il bacino ospita pesci di varie specie e numerosi uccelli acquatici, rappresentando un importante hot spot di biodiversità.
Poco tempo fa gli abitanti della zona hanno «abbracciato il lago», prendendosi per mano per tutto il perimetro del bacino, con un gesto simbolico che voleva esprimere l’amore verso il territorio, e che, come spesso avviene in quelle terre non ancora deteriorate dalla logica del profitto, ribadiva il forte legame della comunità che lo abita e lo difende.
I sindaci e i comitati cittadini hanno infatti ribadito la loro unanime opposizione al geotermico, presentando ben 4 ricorsi al Tar per un progetto che purtroppo ha già ricevuto l’ok della Valutazione di Impatto Ambientale e che aprirebbe la strada a numerose altre centrali in tutto il territorio attiguo (come quelle proposte nella vicina Torre Alfina, al momento bloccata per mancata autorizzazione del Ministero dei Beni Ambientali o a Latera, sullo stesso sito in cui recentemente un impianto simile è stato chiuso per l’eccessivo impatto che aveva sull’ambiente).
Mentre per la centrale di Castel Giorgio si attende che il Ministero dello Sviluppo Economico formalizzi l’autorizzazione e che i comitati possano chiedere la sospensione dei lavori fino alla decisione finale del Tar, l’opposizione popolare si è espressa anche in altri modi: a Marta, a Bolsena, a Montefiascone, le finestre e i balconi si sono riempiti di lenzuola con scritto no geotermia e salviamo il lago. Inoltre è stata lanciata la raccolta firme per eliminare gli incentivi delle energie rinnovabili al settore geo-termoelettrico (https://www.change.org/p/change-org-stop-incentivi-alla-geotermia-elettrica?signed=true ), come espresso nel decreto Fer1, ma che rischia di essere rimesso in discussione per la pressione delle lobbies.
«Noi pensiamo che non sia affatto un’energia rinnovabile – spiega Annick Devaux, dell’associazione Sos Lago – paghiamo una parte della nostra bolletta per sostenere una tecnologia che distrugge il sottosuolo, con il rischio che le acque potabili siano inquinate. La Comunità Europea dovrebbe ripensare questi incentivi, perché in loro assenza questo tipo di centrali non verrebbero fatte, visto il rendimento molto basso».
Anche Georg Wallner, ex professore di Fisica all’Università di Monaco di Baviera e oggi produttore biologico nella zona di Capodimonte la pensa così: «La geotermia elettrica usa gli incentivi per trattare il territorio come terra di conquista, seguendo quello che al momento sembra vantaggioso, ma senza una visione per il futuro. Noi delle associazioni ambientaliste vorremmo evitare gli errori fatti altrove, come non riconoscere la ricchezza e di un territorio ancora integro».
«Durante questa battaglia ci siamo riconosciuti in rete come bioregione idrogeologica» racconta Katia Maurelli, vice presidente dell’associazione La Porticella. «L’acqua è il nostro elemento comune, in un sistema che ci lega sotterraneamente. Come cittadini, ormai siamo talmente preparati che sappiamo come è fatto il nostro territorio anche sotto».
Ed è da questa conoscenza comune che è scaturita la proposta, a cui si sta lavorando, di costituire un biodistretto per promuovere l’agricoltura di qualità biologica e biodinamica e un turismo sostenibile che ricerca quegli spazi naturali sfuggiti alla speculazione.
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