Quando suona le prime note di Wise One, immensa melodia di Coltrane (nell’album Crescent la versione originale dell’autore), capisci che il vecchio leone, malandato nel fisico, è sempre capace di emettere meravigliosi ruggiti. La pronuncia è commossa e rabbiosa nello stesso tempo. Archie Shepp e il suo sax tenore ritrovano la lingua e la cultura del free, ammesso che le avessero mai perdute. Il lirismo non è mai stato escluso dal free, anzi il free lo ha tante volte esaltato. Questa è una nuova occasione. Shepp ci mette tutta la sapienza dell’avanguardia che ha. Poco importa che i partner navighino nel più ovvio mainstream. Lui è nella regione sonora dove le convenzioni vengono distrutte.
Shepp interviene sulla struttura tematica dell’ampia e complessa traccia spostando gli accenti e poi improvvisa musica sua, diversa da quella stupenda di Trane. Con una estenuazione orgogliosa. E la sonorità privilegia l’asprezza come è stato negli anni d’oro della new thing. Altri momenti eccitanti e convincenti del concerto di Shepp al Teatro Creberg? Quando canta. Rauco, profondo, black all’estremo eppure con qualche inflessione da chansonnier. In Revolution aggiunge l’arte dello speech drammatico che ben gli conosciamo dai tempi di Malcolm, Malcolm, semper Malcolm. Ci sono vari momenti belli a Bergamo Jazz 2019. Federica Michisanti col suo Horn Trio, per esempio. All’ex Oratorio di San Lupo, una torre con tante balconate una sopra l’altra. Lei è compositrice e contrabbassista, i suoi compagni sono Francesco Lento alla tromba e Francesco Bigoni al sax e al clarinetto. Per quasi tutto il set procedono liberi, non c’è alcun tema, il tessuto è fatto di frasi brevi che si rincorrono, la polifonia è un vero oggetto d’amore.

MA IL CLIMA è di «classicità», niente tempeste sonore, un che di sereno nell’intrico delle linee. Volendo si potrebbe dire che la musica di Michisanti è un cool-free di classe affidato a musicisti che hanno studiato Tristano, Warne Marsh (lo ricorda Bigoni nei suoi assoli), Hindemith e Schönberg. Anche come strumentista Michisanti opera in contrappunto con una mirabile cantabilità atonale. Al Creberg ritroviamo David Murray dopo l’accensione che aveva suscitato in noi nel settembre scorso durante il festival di Sant’Anna Arresi.

SA SEMPRE VOLARE. Esplode in fraseggio dai bassi cavernosi ai sovracuti del sax tenore. È sciolto e caldo. Il suo spirito è radicale. Moderato, semmai, e routinier, è il gruppo che l’accompagna. Peccato. Ancora al Creberg una cantante fantastica, show-girl con movenze di danza vagamente ritualistiche: Dobet Gnahoré. Origini in Costa d’Avorio, carriera in Francia e nel mondo. Non più acustico il suo set come un paio d’anni fa, ora ci sono tastiere elettroniche e laptop, chitarra e batteria che scandiscono un violento neo-techno con ricchezza ritmica notevole. Le canzoni e la voce potente e flessuosa hanno sapori d’Africa, ma questa è musica globale, non certo identitaria. All’Accademia Carrara si ascolta il collaudato duo Pasquale Mirra (vibrafono)-Hamid Drake (percussioni). Concerto raffinato e dispersivo. Mirra quando suona «astratto», sostanzialmente quando improvvisa in primo piano, è musicista importante. Perché non osa di più dialogando col partner che è potenzialmente favoloso? Gli episodi d’assieme sono un po’ eterei-pretenziosi un po’ tribali-«piacioni». Anja Lechner, violoncellista, al San Lupo fa un concerto «dotto», da Bach a Silvestrov, è precisa, leggera, suona tutto uguale (Berio compreso), brava e inconsistente. Il primo concerto del festival l’ha dato Dimitri Grechi Espinoza nel Museo della Cattedrale, una catacomba fascinosissima. Solo di sax tenore con effetti d’eco prodotti da un piccolo dispositivo. Più new age o più blues indianeggiante? Un po’ di tutte e due le cose. Ma il talento e l’intensità di Grechi non si discutono.
L’ultimo concerto è quello di Manu Dibango. Tanta fama, tanto mestiere, un gusto sicuro – easy e dolci ritmi – di lui al sax alto e delle due coriste. Sulla carta jazz+funk+Africa, in sostanza musica da dancing (quando c’erano). Si chiude il quadriennio di Dave Douglas direttore artistico. Gli succederà una grande chanteuse e pensatrice: Maria Pia De Vito.