Rivoluzione 9999 è la mostra a cura di Marco Ornella ed Emanuele Piccardo che il Museo Novecento di Firenze (fino al 28 gennaio 2018) dedica ai 9999, all’interno di una generale riscoperta del movimento dell’architettura radicale italiana. Il fenomeno Radicale è stato spesso marginalizzato dalla critica ufficiale, eppure alcuni degli episodi più interessanti dell’architettura contemporanea non si sarebbero verificati senza questo movimento. Basti vedere il debito che il Parc de la Villette di Bernard Tschumi a Parigi ha nei confronti della No-stop city di Archizoom, il Delirious New York di Koolhaas con gli Istogrammi di Superstudio, o ancora la tesi di Koolhaas, Exodus, or Voluntary Prisoners of Architecture e la Linear City di Ziggurat, e infine il Tumbleweeds catcher di Pettena con il Bosco Verticale di Boeri, solo per citarne alcuni.

NIENTE DI NUOVO, alcuni lo ribadiscono da tempo, ma rimane un movimento frequentemente, consciamente, ignorato. Una città come Firenze, costantemente votata (e voltata) al suo glorioso passato remoto, prova ancora timidamente, a interrogarsi sul suo passato più prossimo.
Dei 9999 (Giorgio Birelli, Carlo Caldini, Fabrizio Fiumi, Paolo Galli, attivi dal 1968 al 1972), gruppo che ha fatto della propria esistenza un macro happening, Piccardo e Ornella presentano i progetti più conosciuti, come Vegetable Garden House, esposto al MoMA nel 1972 – manifesto insieme a Nuova università di Firenze (’71) di una rinnovata visione del rapporto tra tecnologia e ambiente, accanto a documenti inediti: un estratto del docufilm di Elettra Fiumi A Florentine man, le fotografie di Giorgio Birelli durante la costruzione in giardino della barca-abitazione ideata da Paolo Galli e le istantanee di Mario Preti durante i viaggi in nord America con Carlo Caldini, prima che Fabrizio Fiumi si trasferisse stabilmente a Los Angeles. È l’esperienza diretta della controcultura californiana a mediare l’idea della costruzione di un «proprio» ambiente sulla scorta di quanto la cultura hippy elabora a partire dagli inizi degli anni ’60, quando per la prima volta, non per ragioni legate alla sopravvivenza ma per strategia culturale, una parte di popolazione istruita decide di non subire i fenomeni di urbanizzazione prodotti dalla burocrazia e di costruirsi un suo ambiente fisico.

PER LA «CASA-ORTO» si immagina un arredo che prevede l’inserimento dell’elemento naturale all’interno dell’ambiente domestico, da riprodursi poi su vasta scala. La barca-abitazione è un rito collettivo vissuto con gli amici, sul modello delle comunità hippy americane. Così come simbolo del rito collettivo è la realizzazione della discoteca Space Electronic, progetto elaborato durante il corso universitario tenuto da Leonardo Savioli sullo Spazio di coinvolgimento e poi realizzato e gestito dai 9999. Un luogo sede della performance Paradise Now che il Living Theatre mette in scena nel 1969 e dove nel ’71 si attua la Scuola Separata per l’Architettura Concettuale Espansa, cui partecipano (insieme ai radicali fiorentini), i californiani Ant Farm, i londinesi Street Farmer, accomunati dal desiderio di un sistema di vita alternativo in cui allargare il grado di sostenibilità sociale e ambientale dell’architettura attraverso un approccio ludico all’educazione e alla sperimentazione.