In circolazione, attualmente, nel mercato italiano c’è una massa di oltre 60 miliardi di obbligazioni «subordinate», della stessa famiglia cioè di quelle emesse dalle quattro banche finite nel ciclone per il default dei loro 130 mila risparmiatori. Prima di addentrarci nella “mappa dei rischi”, cerchiamo di capire cosa siano queste obbligazioni: come tutti i bond sono dei titoli di debito, che consentono a chi li compra di diventare creditore dell’emittente, incassando periodicamente degli interessi: il dividendo o cedola.

Rispetto alle obbligazioni ordinarie, però, quelle subordinate espongono i risparmiatori a un grado di rischio molto più elevato e in caso di fallimento della banca (come è avvenuto per Banca Marche, Etruria, Carife e Carichieti) i possessori di bond sono considerati dei creditori di serie B e quindi il diritto di essere risarciti arriva dopo altri soggetti come i dipendenti, i correntisti o i sottoscrittori dei bond ordinari. Anzi, chi avesse sottoscritto delle obbligazioni subordinate, è chiamato a concorrere per ripianare le perdite.

Con le nuove norme Ue infatti, applicate in questo caso dal governo, le passività soggette al bail-in (salvataggio interno attraverso la svalutazione) sono innanzitutto gli strumenti di capitale, poi le passività subordinate e a seguire le obbligazioni bancarie non garantite. In pratica, le obbligazioni subordinate sono tra quelle passività non garantite al momento del salvataggio di una banca con relativa svalutazione degli asset, al contrario dei depositi fino a 100 mila euro, dei covered bond, dei beni della clientela detenuti nelle cassette di sicurezza, o dei debiti verso i dipendenti, quelli commerciali e quelli fiscali, purché privilegiati dalla normativa fallimentare.

Ebbene, in un elenco stilato dagli analisti indipendenti di Consultique, fra le circa 370 emissioni la parte del leone per decine di miliardi la fanno i big (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Ubi Banca ecc. con rischio basso o quasi nullo) ma figurano anche titoli di banche medie o piccole e anche di credito cooperativo.

Col recente salvataggio delle quattro banche, il numero di istituti a rischio si riduce notevolmente. Sulla base dei dati aggiornati a inizio dicembre dalla Banca d’Italia risultano sotto procedure di amministrazione straordinaria 9 banche di piccole dimensioni. Si tratta dell’Istituto per il Credito Sportivo (Rm), la Bcc Irpina (Av), la Cassa di Risparmio di Loreto (An), la Banca Padovana di Credito Cooperativo (Pd), la Cassa Rurale di Folgaria (Tn), la Banca Popolare delle Province Calabre (Cz), la Banca di Cascina Credito Cooperativo (Pi), la Bcc Banca Brutia (Cs) e la Bcc di Terra D’Otranto (Le).

In particolare, ricorda Bankitalia, nel 2014 sono state avviate procedure di amministrazione nei confronti di 12 banche mentre per altre 2 banche di credito cooperativo è stata avviata la procedura di liquidazione.

Scorrendo i titoli si nota come la gran parte delle obbligazioni subordinate, oltre due terzi, sia sprovvista di rating. Di quelle con rating circa una cinquantina non arriva a un giudizio di investment grade. Altro elemento da considerare è che oltre un terzo delle emissioni è potenzialmente illiquido e quindi non vendibile sui mercati quando la situazione inizia a farsi difficile seppure alle volte questo comporti una perdita del valore evitando comunque l’azzeramento totale in caso di perdita.

Anche Moody’s, l’agenzia di rating internazionale, così come l’Unione europea, aveva detto che anche in caso d’intervento del Fitd (Fondo interbancario di tutela dei depositi) al posto del fondo di risoluzione gli effetti negativi si sarebbero riversati anche sugli obbligazionisti subordinati. L’unica mossa che si sarebbe potuta fare per evitare duri colpi sui piccoli risparmiatori sarebbe stata ritirare i bond per scambiarli con altri, come ha ricordato anche Banca d’Italia, ma per farlo sarebbe stato necessario però rinviare l’entrata in vigore delle regole europee di qualche anno.