Nel Movimento 5 Stelle in subbuglio si sprecano i giudizi sul «capo politico» Luigi Di Maio e piovono i distinguo sui singoli provvedimenti, ma si fa fatica a trovare una discussione che ponga questioni di fondo. Ci pensa un eletto illustre come Primo Di Nicola, senatore che in questo tratto di legislatura ha manifestato autonomia di pensiero ma non si è mai schierato apertamente contro i vertici.

All’indomani del tracollo umbro, Di Nicola ammetteva le difficoltà ma invitava i 5S a non scaricare ogni responsabilità su Di Maio. Adesso fa una proposta: vista l’egemonia delle destre e la sconfitta di quello che in una «lettera aperta» al Fatto definisce «campo progressista», invita senza tanti complimenti il M5S a «sciogliersi» e ad ammettere la propria «inadeguatezza». «Abbiamo il dovere di affrontare nuove sfide anche a costo di biodegradarci definitivamente, scioglierci in qualcosa di più grande» dice Di Nicola, giornalista di lungo corso eletto in uno dei collegi uninominali che lo stesso Di Maio aveva distribuito e che nella balcanizzazione dei parlamentari costituiscono una categoria a sé stante. Come lui, in Campania era stato eletto il giurista Ugo Grassi, senatore passato nei giorni scorsi al gruppo misto. «Il M5S sta esaurendo la sua spinta propulsiva dopo aver meritoriamente grillizzato l’intero sistema», scrive Di Nicola. Il problema starebbe nella mancanza delle risorse interne che delineano «una inadeguatezza di cui si stenta a definire i contorni».

Insomma, Di Nicola invita a una svolta e per motivare questo scarto delinea una fase del tutto nuova dello scontro politico e fa leva sul pericolo delle destre. «La necessità di darci una nuova missione può imporre un compito più alto – afferma – Dopo avere cambiato la politica nel nostro paese, possiamo, dobbiamo affrontare a viso aperto le ragioni di una crisi che ci investe e che ha radici in questioni che da soli non possiamo sciogliere». Che il M5S sia al centro di una trasformazione che ne cambierà i tratti fondamentali non lo mette in dubbio nessuno. Di questo si è parlato apertamente alla kermesse di Napoli: anche chi immagina un fantomatico «ritorno alle origini» sa che così non si può andare avanti. Il punto è proprio se insistere sull’autosufficienza o proseguire sulla strada mai battuta della contaminazione. Da giorni personaggi che utilizzano linguaggi differenti parlano di convocare un «congresso» (il deputato Trizzino), una «assemblea nazionale» (l’ex ministra Lezzi) o di dare più potere alle assemblee dei parlamentari. In questo senso si sta lavorando a un documento nell’ormai quasi ingovernabile gruppo di Montecitorio, che si avvicina pericolosamente alla sessione di bilancio ancora senza capi.

Di Maio starebbe pensando a convocare gli «stati generali» del M5S. Intanto ripropone la ricetta del «né di destra né di sinistra». Il sottosegretario Stefano Buffagni cerca di apparire rassicurante «Non lasciamoci intimorire dai sondaggi – scrive su Fb – Dobbiamo avere la forza di mandare qualcuno a quel paese: chi sta usando il M5S come un taxi». Nicola Morra non vuole sentir parlare di «congressi» ma ammette che il M5S sta per intraprendere l’«attraversamento del deserto». Il che già suona strano per una forza politica che ha ancora la maggioranza relativa dei parlamentari e che esprime il presidente del consiglio.