«Noi denunceremo» è il nome di un comitato nato su Facebook da persone che hanno perso i loro cari a causa del Covid-19. E da ieri «Noi denunceremo» è anche una promessa mantenuta: una delegazione si è presentata in procura a Bergamo per presentare 42 denunce contro ignoti.

«Il comitato chiede che di individuare le responsabilità di chi non ha dichiarato la zona rossa, non ha chiuso l’ospedale di Alzano e ha invece approvato quella maledetta delibera della Regione Lombardia del 23 marzo, che impediva ai medici di base di visitare a domicilio i pazienti di Covid-19», spiega Consuelo Locati, avvocata e coordinatrice legale del comitato, che a causa del Covid-19 ha perso il padre.

«A causa di quel provvedimento, molti pazienti sono arrivati in ospedale in condizioni ormai disperate, con il conseguente collasso degli ospedali. Ma la questione è più generale: la regione Lombardia ha puntato molto sulla medicina di cura e non sulla prevenzione. Non c’è stato coordinamento tra sanità territoriale e medici di base. Chiediamo di individuare i responsabili di questa cattiva gestione».

Chi doveva dichiarare la zona rossa e chiudere l’ospedale?
C’è un groviglio di norme che si sovrappongono. Ma nel momento in cui Gallera e Fontana erano consapevoli che il governo non avrebbe istituito una zona rossa, avrebbero potuto intervenire loro. Ma le norme chiamano in causa anche i sindaci. Per quanto riguarda la chiusura dell’ospedale di Alzano, sarò la direzione dell’ospedale a dare spiegazioni.

Perché tanta inerzia?
La pressione economica è stata preponderante. Il presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti ha dichiarato più volte la contrarietà degli imprenditori all’istituzione della zona rossa. Le persone che oggi denunciano hanno la sensazione che la salute pubblica tutelata dall’articolo 32 della Costituzione sia stata lesa per proteggere l’interesse economico di Confindustria.

Anche prima della pandemia era sentito il problema dell’abbandono della sanità territoriale?
Era sentito soprattutto perché per prenotare un esame attraverso la sanità pubblica bisognava attendere mesi o anni, mentre attraverso il canale privato bastavano pochi giorni. Durante la pandemia abbiamo pagato a caro prezzo la scarsità dei medici di base: con così tanti assistiti, non avrebbero potuto comunque seguire i pazienti.

Anche perché non avevano protezioni.
Eppure c’era un piano anti-pandemico sin dal 2006 che prevedeva che la regione accumulasse scorte sufficienti di kit diagnostici e mascherine. Ma non è mai stato attuato in Lombardia. Anzi, la regione nel 2019 ha deciso di attribuire incentivi economici ai dirigenti che riducevano le scorte di dispositivi: questo è il sistema sanitario lombardo. E oggi i cittadini devono pagare di tasca loro i test sierologici e il primo tampone obbligatorio in caso di positività.

La magistratura è disponibile a accogliere le vostre denunce nell’inchiesta principale?
Abbiamo parlato con il procuratore di Bergamo, Maria Cristina Rota, e abbiamo verificato apertura e collaborazione. A fine giugno ne depositeremo un altro centinaio. C’è disponibilità, anche perché le persone chiedono solo che la magistratura indaghi per fare chiarezza. Sono persone che hanno visto morire a casa le persone care senza poter far nulla. Nel periodo peggiore molti pazienti non sono stati ricoverati perché non c’era posto. Basta leggere le cartelle cliniche dei pazienti per capire che in molti casi i medici hanno dovuto scegliere chi salvare e chi no. Ma queste persone cercano la verità, non la vendetta.