Barack Obama e Hassan Rohani ebbero uno storico contatto telefonico, ai margini dell’Assemblea generale delle Nazioni unite. Da allora, Obama non ha smesso di inviare missive alla guida suprema Ali Khamenei per discutere delle questioni in sospeso in merito al programma nucleare iraniano e sul ruolo di Tehran in Iraq e Afghanistan. Prima di allora, l’ultimo incontro fra i presidenti dei due paesi risaliva al colloquio di Jimmy Carter con lo shah Mohammed Reza Pahlavi nel 1977.

A segnare la svolta nelle relazioni bilaterali, è stata l’elezione del moderato Rohani, nel giugno 2013. Una volta al potere, il tecnocrate ha subito messo al centro della sua politica estera un inedito multilateralismo per la Repubblica islamica. Rohani ha tuonato contro la disastrosa strategia occidentale in Siria e in Iraq, mentre Khamenei ha accusato apertamente il segretario di Stato, John Kerry, di non voler includere l’Iran nella coalizione contro lo Stato islamico (Isis) per non irritare i sauditi.

Fu la Rivoluzione islamica del 1979 a segnare l’allontanamento tra Stati uniti e Iran. La retorica khomeinista ha rappresentato Washington come responsabile dell’intossicazione del popolo iraniano negli anni precedenti la Rivoluzione, quando gli Usa appoggiavano le politiche di occidentalizzazione promosse dallo shah. Con il successo del clero sciita che estromise dal potere le altre anime del movimento rivoluzionario, proprio l’ambasciata Usa in Iran, che ora Obama vorrebbe riaprire, divenne il simbolo dell’anti-americanismo iraniano e dello scontro tra i due paesi. A far scoppiare la crisi diplomatica fu la detenzione di 52 ostaggi statunitensi, conclusasi con il loro rilascio nel gennaio del 1981. L’episodio causò il congelamento delle relazioni diplomatiche reciproche.

Durante la guerra Iran-Iraq, il sostegno statunitense al regime baathista inasprì l’odio delle autorità iraniane verso gli Stati uniti. A peggiorare le cose fu il caso Iran Gate (1986-87): lo scandalo di forniture di tank a scopo militare alle forze iraniane da parte americana in cambio del rilascio di cittadini statunitensi presi in ostaggio in Libano. Negli anni Novanta, nonostante il pragmatismo dei governi del tecnocrate Rafsanjani, i due paesi non compirono passi per una ripresa delle relazioni reciproche. Anzi, proprio in quegli anni venne promossa dagli Stati uniti una politica di doppio contenimento tra Iran e Iraq. Gli Stati uniti accrebbero il loro controllo nel Golfo Persico sostenendo l’Arabia Saudita come guida regionale. Ciò determinò l’isolamento dell’Iran e il rovesciamento del governo baathista iracheno. A tal proposito, è proprio del 1996 l’approvazione dell’Ilsa (Iran-Lybia sanction Act): legge che ebbe come obiettivo l’isolamento commerciale della Repubblica islamica tramite sanzioni alle aziende che intendessero promuovere investimenti in Iran. Ma si trattò di un provvedimento spesso male applicato e non efficace. All’Ilsa, per rafforzare l’ostruzionismo americano allo sviluppo economico dell’Iran post-rivoluzionario, si aggiunse la dura opposizione statunitense all’ingresso di Tehran nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e ai progetti per la costruzione del gasdotto dell’Asia centro-meridionale nel sud dell’Iran.

Con la vittoria dei riformisti nel 1997, l’ex presidente Bill Clinton manifestò l’intento di un possibile riavvicinamento con l’Iran. In particolare, l’ex segretario di Stato, Madeline Albright espresse il suo rammarico per il coinvolgimento dei Servizi segreti Usa nel colpo di stato contro Mossadeq nel 1953. Il tema delle relazioni con gli Stati uniti ha però aperto un fervido dibattito in Iran. La retorica di molti esponenti tradizionalisti rimane roboante e lo stesso Khamenei appare ufficialmente scettico nei confronti di un avvicinamento nelle relazioni tra i due paesi. Dopo l’11 settembre 2001, l’ex presidente George Bush ha indicato l’Iran tra i paesi accusati di «sostenere il terrorismo internazionale, avere legami con al-Qaeda, produrre armi di distruzione di massa»: di far parte cioè del cosiddetto «asse del male» assieme a Iraq e Corea del Nord.
Nel maggio del 2003, a questo scopo 127 esponenti del parlamento (Majlis) scrissero una lettera alla guida suprema Ali Khamenei chiedendo una svolta nelle relazioni tra Iran e Usa. Dopo la guerra in Afghanistan, appoggiata dalle autorità iraniane, e l’attacco all’Iraq del 2003, in cui l’Iran si disse neutrale, i contatti tra Stati uniti ed emissari iraniani sono stati molti. In Iraq, l’appoggio ai gruppi sciiti anti-baathisti ha, da un lato, facilitato la conquista di Baghdad da parte delle forze anglo-americane, dall’altro, contribuito a fomentare i gruppi armati di opposizione. A favorire l’isolamento di Tehran, è arrivata infine la stigmatizzazione del programma nucleare iraniano. E così, quando l’Agenzia per l’energia atomica internazionale (Aiea) ha denunciato l’incremento della capacità di arricchimento dell’uranio dopo l’installazione di centinaia di nuove centrifughe nella centrale di Natanz, il Congresso Usa non ha esitato a inasprire l’embargo internazionale.