«È come se Douglas Sirk girasse un videogame». Sì, più o meno è così, nel bene e nel male, questo scatenato, divertente 300. L’alba di un impero, diretto dall’israeliano Noam Murro, ma scritto e prodotto da Zack Snyder. Un fumettone ultraviolento e ultrasexy dove il sangue degli scontri ti arriva fino al naso e le teste volano allegramente. Attenzione, non è né un sequel né un prequel del fortunato 300 che Zack Snyder diresse riprendendo idea, storia e taglio grafico dalle tavole di Frank Miller, ma una sorta di film parallelo, dal momento che l’azione si svolge parallelamente a quella che vide nel 480 a.C i 300 spartani di Leonida massacrati dall’esercito persiano di Serse alle Termopili. Qui è di scena il condottiero ateniese Temistocle, Sullivan Stapleton (Animal Kingdom), più simile a Michael Fassbender che non a Gerard Butler, che cerca di coinvolgere tutti i greci nella guerra contro la Persia e si ritrova a sfidare con la sua piccola flotta l’enorme flotta persiana di mille navi agli ordini della cattivissima Artemisa, una strepitosa Eva Green, che nella realtà ne comandava cinque.

Assistiamo così al prima delle Termopili, con la storia di Serse, che vede il padre Re Dario ucciso da una freccia scagliata in battaglia proprio da Temistocle. E la successiva trasformazione di Serse, grazie alla forte influenza della perfida Artemisa, in dio guerriero, una specie di gigantesco supergaio piercingato senza un pelo ma ricoperto d’oro. Assistiamo anche alla storia di Artemisa come se fosse un personaggio di Kill Bill di Tarantino, che vede i genitori e i parenti massacrati dagli opliti greci e giura vendetta eterna crescendo come un guerriero agli ordini di Re Dario. Sarà lei a costruire il regno del terrore di Serse, uccidere tutti i possibili consiglieri, e spingerlo alla guerra con la Grecia. Poi assistiamo al durante la battaglia delle Termopili, con Temistocle che sfida e sbeffeggia la flotta di Artemisa e al dopo la morte di Leonida, con la grande vendetta dei greci nella battaglia navale di Salamina che darà eterna gloria a Temistocle.

Meno fantasy del precedente, anche con meno elementi mostruosi e eccessivi, tutto il film è costruito sulle grandi battaglie navali fra le due flotte, violentissime, dove scorre il sangue da 3D e viene pronunciata la frase di Emiliano Zapata: «Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio». E sulla tensione sessuale fra i due nemici, il supermacho Temistocle e la cattivissima ultrasexy Artemisa. Al punto che a metà della battaglia i due si incontreranno in quella che è stata definita la «scena di sesso più violenta del 2014», dove ognuno dei due cercherà di farsi l’altro e di piegarlo anche sessualmente. Proprio questa tensione, che Eva Green e Sullivan Stapleton riescono a controllare perfettamente, domina il film, e si spegne solo nel grande duello finale che li vedrà davvero pronti davvero a farsi penetrare – e che farà dire a Artemisa la fras: «You fight better than you fuck». (Combatti meglio di quanto scopi, che da noi diventa un insulso: «sei meglio con il ferro che a letto». Che bellezza).

Va detto che le battaglie per mare forse non arrivano a certe incredibili battaglie navali di certi film inglesi o di Ben Hur o del capolavoro Kwaidan di Masaki Kobayashi, dove c’è forse la più bella battaglia navale mai messa in scena, con un esercito che si trasforma in zombi, ma sono comunque fantastiche. E va detto che l’Artemisa di Eva Green, col suo carico di teste mozzate e lo sport di spedire in fondo al mare in bocca ai pesci i suoi comandanti che sbagliano strategia, è un personaggio che raramente troviamo nel cinema avventuroso di oggi. E l’amore per Temistocle è precisa coscienza di aver trovato l’unico avversario in grado di tenerle testa: «Combatti come se il sangue di Poseidone scorresse nelle tue vene!», e che valga quanto lei. Dall’impossibilità del loro amore, mediato solo dalla furia omicida della guerra, nasce il mélo. Sirkiano? Probabilmente sì.