Che sia più giusta la metafora del «motore di riserva» della Repubblica, pronto a partire quando il sistema politico si blocca, o della «fisarmonica», capace di espandersi per compensare il ritrarsi degli altri poteri, è comunque certo che anche un presidente della Repubblica schivo e per nulla interventista come Sergio Mattarella nei prossimi mesi dovrà farsi protagonista. Come ogni capo dello stato davanti a un nuovo parlamento, ma anche di più visto che si può dare per scontata la difficoltà di costruire una maggioranza nelle prossime camere. Proprio per evitare un parlamento ingovernabile conseguenza di due leggi elettorali «non omogenee», Mattarella si è opposto alla richiesta di Renzi di votare già a giugno scorso. Il governo Gentiloni è in buona parte una sua invenzione – se nessuno ha mai pensato di chiamarlo governo del presidente è solo perché è identico a quello del rottamato Renzi.

Nell’imporre il rispetto della scadenza naturale della legislatura, il presidente della Repubblica ha fatto sentire per la prima volta la sua presa sul quadro politico, non a caso in coincidenza con la sua prima crisi di governo. La nuova legge elettorale, però, non è garanzia di un risultato governabile. Il crollo nei sondaggi del partito democratico rende problematica persino la più scontata riedizione delle larghe intese Pd-Forza Italia. Si intravedono i numeri solo per una maggioranza nero stellata Salvini-Meloni-Di Maio. Eventualità che il convinto europeista Mattarella cercherà in tutti i modi di evitare.

La supplenza del governo Gentiloni, appena inaugurata, durerà quindi a lungo. Né si può escludere che proprio questo prudente capo dello stato possa decidersi per la più audace delle soluzioni, e chiami gli italiani due volte al voto nello stesso anno. Sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica e Mattarella sarebbe appena alla metà del suo settennato.