Il ventennale del G8 di Genova rischia di far passare in sordina una ricorrenza le cui ricadute appaiono meno traumatiche delle cariche del 2001 ma essenziali per l’orientamento dell’economia italiana da allora.
Facciamo un passo indietro. Al decennale del G8, nel 2011, era ancora palpabile la soddisfazione collettiva del risultato referendario del mese precedente : una primavara di partecipazione democratica e di energie che poche volte è stata così intensa, ed ha portato ad un deciso rigetto della privatizzazione dell’acqua (oltre che del nucleare).

Ma a fine luglio qualcosa stava cambiando: il colpo mortale alla ammaccata e claudicante coalizione di centro-destra giunse da una direzione totalmente diversa. Stava montando la crisi degli spread (termine che entrò allora nel vocabolario collettivo), cioè del differenziale del rendimento dei titoli di Stato italiani rispetto a quelli tedeschi. Gli investitori internazionali stavano « sfiduciando » il governo italiano. Già a giugno il presidente Napolitano aveva sondato Mario Monti per l’incarico di un nuovo governo e già era stato a messo all’opera qualcuno per scrivere un nuovo programma economico per il paese: il banchiere Corrado Passera. A novembre i due sarebbero diventati, rispettivamente, presidente del Consiglio dei ministri e ministro.

Il 5 giugno – è questa la ricorrenza cui alludiamo – arriva una comunicazione dai vertici della Bce (Trichet) e Draghi (ancora alla Banca d’Italia) che getta nel panico Berlusconi: i due richiedono riforme in tre ambiti specifici : riforme per la crescita, per la sostenibilità delle finanze pubbliche, e di efficientamento della amministrazione pubblica. Immediatamente il capo del Governo indice una conferenza stampa in cui assieme a Tremonti annuncia il pareggio di bilancio in Costituzione, la sua realizzazione effettiva non più al 2014 ma al 2013, riforme del mercato del lavoro e una revisione costituzionale che rafforzerebbe la libertà d’impresa.

Nonostante i suoi sforzi per rimanere attaccato alla poltrona (con la enorme manovra di agosto di 45,5 mld €) a novembre subentrerà Monti, assai più gradito alle cancellerie di Francia e Germania. Ma da allora le « raccomandazioni » dei banchieri resteranno il filo rosso della politica economica italiana quasi continuativamente : se infatti si chiedevano «liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali attraverso privatizzazioni su larga scala », la riforma Renzi-Boschi avrebbe cercato di riportarli in seno allo Stato ; si chiedeva la « revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti» e si sono susseguiti L. Fornero e Jobs Act ; si chiedeva di « intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico » e anche su questo è intervenuta la L. Fornero ; si chiedeva una « riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio » che la maggioranza del governo Monti (cioè PD e PdL) ha approvato l’anno successivo ; si chiedeva la « clausola di riduzione automatica del deficit » e già nell’estate 2011 sono state approntate le « clausole di salvaguardia ». Si chiedevano per la pubblica amministrazione «indicatori di performance soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione», cioè la subordinazione di essi a criteri marcatamente mercatistici.

A monte di tutto la questione dell’indebitamento dello Stato : l’Italia doveva macinare riforme liberiste per mostrarsi credibile ai mercati ; che però non prestarono a tassi più bassi se non dopo l’annuncio di Mario Draghi del programma OMT (2 agosto 2021). Ma intanto l’Italia era lanciata nelle politiche austeritarie, che avrebbero diminuito i diritti dei lavoratori e inferto gravi colpi ai servizi pubblici soggetti a ondate di tagli e definanziamento. Oggi non solo Draghi, uno dei firmatari della lettera è a capo del governo, ma colui che viene considerato l’estensore materiale della stessa è l’attuale ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco.