«Da una prospettiva militare, Daesh è finito. Ha perso il suo spirito combattente. Glielo abbiamo detto: arrendetevi o morirete».

Le parole del generale al-Assadi, capo del contro-terrorismo iracheno, dispensano speranze: Mosul cadrà completamente tra pochi giorni. In mano allo Stato Islamico non restano che 600 metri in città vecchia, ormai quasi del tutto in mano all’esercito iracheno.

Ieri è stato liberato il quartiere al-Farouq, con decine di bandiere irachene sventolate dai tetti degli edifici. L’Isis prova a difendersi: con 200-300 miliziani ancora in città, ha compiuto domenica notte tre controffensive nei quartieri di Tanak, Rajm Hadid e Yarmouk, uccidendo diversi civili.

Più temibili i kamikaze che continuano a farsi esplodere tra civili e soldati: l’esercito ne ha contati almeno 80 in soli quattro giorni, l’estrema «resistenza» che rende terribili gli ultimi giorni di occupazione per 100mila civili intrappolati in città vecchia. Le truppe irachene sono pronte all’assalto finale: si attende solo l’arrivo dei rinforzi, dicono, per neutralizzare la potenza di fuoco in mano agli islamisti rimasti.

Mosul sarà liberata a breve, ma l’ottimismo del generale al-Assadi e la convinzione di una sconfitta militare totale di Daesh sono smentite dalle notizie dal resto dell’Iraq.

Ieri il gruppo ha lanciato un attacco contro postazioni dell’esercito iracheno e dei peshmerga di Erbil a nord-ovest di Kirkuk. Secondo quanto riporta il tenente Mahmoud, gli scontri sono ancora in corso.

Nelle stesse ore un kamikaze di Daesh saltava in aria a Diyala, estrema provincia orientale dell’Iraq. La cintura è esplosa prima del previsto e le uniche vittime sono state i 12 miliziani islamisti che lo accompagnavano nell’azione.

L’Isis ha perso Mosul e l’ambizione di costruire uno Stato tra Siria e Iraq (Raqqa, dall’altro lato del confine sarà la prossima vittima dell’avanzata delle forze anti-islamiste). Ma non sparirà. Continuerà ad operare, con cellule di miliziani capaci di penetrare nelle pieghe degli Stati-nazione falliti.

Sullo sfondo resta un paese privo di una leadership che sappia tenerlo insieme con una strategia nazionale e non settaria. Ulteriore spada di Damocle è il referendum sull’indipendenza da Baghdad che il Kurdistan iracheno ha previsto per settembre.

Mosul prova comunque a rialzarsi: domenica per la prima volta dal 2014 a est si è celebrato l’Eid, la festa di fine Ramadan, senza Isis. Ma con un dolore pungente: la distruzione del simbolo della città, la Grande Moschea al-Nuri, prima sfigurata dall’ideologia di Daesh e poi ridotta in macerie.