In Russia non c’è più da tempo la festa del 1º maggio intesa come giornata internazionale dei lavoratori. È stata sostituita nel 1992 da una più neutra festività «della primavera e del lavoro», una rottura con la tradizione sovietica fortemente voluta dall’allora Presidente Boris Eltsin.

Sulla Piazza Rossa, anche quest’anno, si terrà la tradizionale manifestazione della Federazione dei Sindacati Indipendenti Russi (FSIR) che attira tra concerti e stand gastronomici decine di migliaia di persone.

La definizione di sindacato per la FSIR, la quale dichiara di avere oltre 21 milioni di tesserati, è in realtà inappropriata. La Federazione infatti, sin dai tempi dell’URSS, svolge solo funzioni corporative legate alla gestione “paritaria” delle aziende con le controparti e non promuove alcuna azione rivendicativa.

Da anni quindi la combattiva Confederazione del Lavoro Russa, sorta circa 20 anni fa e che raccoglie circa 2 milioni e mezzo di lavoratori, non aderisce più alla manifestazione ufficiale. «Questa sera faremo un grande concerto al Parco di Recnovo Vokzal mentre per il 1° maggio abbiamo deciso di tenere una iniziativa internazionalista, un presidio davanti all’ambasciata del Kazakistan contro la repressione che da anni colpisce i lavoratori di quel paese» dice il segretario della Confederazione del Lavoro Russa, Boris Kravcenko.

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Il corteo organizzato lo scorso anno a Mosca dal Partito comunista

Per lunedì sono previste anche altre iniziative: il Partito Comunista di Zyuganov e la sinistra alternativa (anarco-sindacalisti, trotskisti, movimenti LGBT, ecologisti), hanno promosso dei propri happening in due zone diverse della città.

In Russia è veramente difficile scioperare, visto che il Codice del Lavoro prevede che le interruzioni del lavoro possano essere indette solo quando c’è l’adesione del 100% dei lavoratori di una data azienda. Scioperi e picchetti sono di fatto illegali e chi sciopera lo fa a proprio rischio e pericolo. Potrà sembrare strano per un occidentale abituato allo stereotipo della “Russia comunista”, ma nel paese che diede i natali ai soviet, il sindacalismo non ha tradizioni solide e tutti i tentativi di creare negli ultimi anni un partito di sinistra, che non avesse le stigmate del nazionalismo e del tardo stalinismo, sono sempre naufragati.

Malgrado ciò, da quando nel 2015 la recessione ha iniziato a mordere, assottigliando i salari reali del 10% sotto il peso dell’inflazione e della svalutazione del rublo, scioperi e proteste sindacali si sono moltiplicati.

Il professor Petr Busyukov che da sempre studia le dinamiche dei conflitti sindacali in Russia, ricorda che «il numero delle azioni di protesta dei lavoratori sono drammaticamente aumentate da 209 nel 2014 a 419 nel 2016».

Le proteste sono in gran parte dovute al mancato pagamento dei salari e non hanno per ora alcuna valenza politica, tuttavia si tratta di una ondata di lotte che non si vedeva in Russia dagli anni ’90. La peculiarità degli scioperi di oggi è semmai l’entrata sulla scena di nuovi strati di lavoratori: «A promuoverli sono spesso lavoratori neppure sindacalizzati che sperimentano nuove ed inedite forme di conflitto, dagli scioperi a gatto selvaggio fino alle occupazioni» sottolinea il professor Busyukov.

Esemplare da questo punto di vista è lo sciopero a oltranza dei camionisti russi che dura ormai da un mese.
I camionisti protestano contro l’aumento del “Platon”, una imposta sull’uso delle autostrade federali che grava sui conducenti di mezzi pesanti. «Un padroncino come me – ci spiega Oleg che ha aderito sin da subito allo sciopero – tra tasse e svalutazione del rublo arriva a stento a 6-700 euro al mese. Con i prezzi che ci sono a Mosca, difficile sopravvivere».

La scintilla della ribellione è partita dalla poverissima regione del Daghestan ma subito ha incendiato anche il resto del paese da Mosca a Vladivostok: ora sono 10.000 i conducenti che incrociano le braccia malgrado la polizia abbia arrestato 2 dei suoi leaders e cercato di impedire le assemblee dei lavoratori. «Noi non siamo da prima pagina come Navalny – afferma polemico Oleg, il camionista moscovita -, ma li capisco… del resto tutti i politici, senza distinzione, temono che il nostro esempio venga seguito da altri lavoratori».