Nell’estate del 1964, a pochi mesi dall’inizio delle Olimpiadi, Tokyo era ancora un cantiere aperto, spente le luci negli uffici e nei negozi, dopo il tramonto si accendevano in gran parte della capitale le luci accecanti azionate a diesel, i martelli pneumatici cominciavano a battere e fino all’alba andava in scena la frenetica ed affrettata costruzione e rimodellamento della metropoli in vista dei giochi, che si sarebbero svolti saggiamente, visto il caldo, in ottobre. Quando la capitale dell’arcipelago fu scelta come sede dei primi giochi da svolgere fuori dall’occidente, alla fine degli anni cinquanta, Tokyo era già una delle città più popolate del mondo, ma era lontana anni luce da quell’immagine di metropoli moderna che sarebbe entrata nell’immaginario popolare da lì a qualche anno. A titolo di esempio basti ricordare che l’acqua del rubinetto non era del tutto potabile e che solo una parte della città era dotata di impianti fognari e dove questi non erano presenti, il materiale di scarico veniva aspirato periodicamente da appositi camion e portato nei campi di riso nelle campagne.

BENCHÉ È INNEGABILE che le Olimpiadi funzionarono da volano nel processo di modernizzazione della capitale e del resto dell’arcipelago, e che dal punto di vista geopolitico, volevano simbolizzare e celebrare la definitiva uscita del paese dal difficile periodo post-bellico, il taglio dal passato non fu così netto e le ombre su cui la macchina olimpica e la capitale costruì la sua fortuna sono visibili ancora oggi. Si chiese, ad esempio, a molti dei cittadini della capitale di sacrificare le loro abitazioni per la costruzione degli impianti sportivi e del villaggio olimpico, quasi una mobilitazione di massa che giocava molto sul senso patriottico e sull’orgoglio nazionale che solo qualche decennio prima aveva portato ai disastri della guerra. Non è un caso poi che a dichiarare ufficialmente aperti i giochi olimpici del 1964 alla fine della cerimonia di apertura fu proprio l’imperatore Hirohito, uno dei responsabili, o almeno uno dei simboli, degli orrori perpetrati dal Giappone militarista e imperialista.

DALL’ALTRO LATO, uno degli aspetti più vistosi del rimodellamento e della metamorfosi dell’arcipelago fu portato avanti dalla triade formata dal Partito Liberal Democratico, dalle banche e dalle grandi imprese di costruzione, ed in parte anche dalla yakuza che forniva la manodopera a basso costo e sfruttata di solito proveniente dalla campagne, che instaurarono a Tokyo e nel resto del Giappone uno stato di costruzione permanente. Cemento e politiche urbanistiche scellerate provocarono una distruzione ambientale e estetica che fa ancora oggi gridare allo scandalo. Se il simbolo per eccellenza della nuova modernizzazione raggiunta dal Giappone è senza dubbio il treno superveloce Shinkansen, non c’era assolutamente alcun motivo di avere pronta per i giochi una linea del treno ad alta velocità che collegasse Tokyo a Osaka, città quest’ultima dove non si svolse nessuna competizione sportiva.

MA IL DESIDERIO di impressionare il resto del mondo come paese all’avanguardia nelle nuove tecnologie, unito ad una diffusa corruzione, fece lievitare il costo dello Shinkansen fino a circa un miliardo di dollari, il doppio di quanto previsto dal budget originale e circa un terzo del costo totale dei giochi. La mancanza di tempo e di fondi dovuta allo spreco relativo alla linea ad alta velocità, finì per colpire anche la costruzione delle nuove autostrade, che dovettero essere fatte in fretta e furia sopra fiumi e canali esistenti, onde evitare l’acquisto di nuovi terreni. Piantando le colonne portanti delle autostrade nell’acqua sottostante dei canali, molti bacini fluviali furono resi inutili, l’acqua cominciò a ristagnare provocando una moria di pesci e il rilascio di fanghi velenosi, modificando per sempre la vita economica e sociale che girava attorno a questi corsi d’acqua. L’obbrobrio per antonomasia di questo stato di costruzione senza senso ed a tutti i costi, rimane l’autostrada costruita sopra il Nihonbashi, lo storico ponte spesso raffigurato dai più grandi artisti giapponesi del passato ed eretto durante il periodo Meiji, punto zero da cui vengono misurate tutte le distanze da Tokyo e luogo da dove in passato si poteva godere della vista del monte Fuji.