Con un solo numero si possono fare, utilizzando appropriate tecniche statistiche, tantissime cose. Nell’uso che dei numeri si può fare in politica e nella comunicazione, naturalmente, tutto si semplifica ed in genere con un numero si usa fare due o tre cose: lo si può confrontare col numero corrispondente del mese precedente e questa si chiama variazione congiunturale, lo si può confrontare con lo stesso mese dell’anno precedente e questa si chiama variazione tendenziale; volendo si può scegliere tra variazione assoluta o percentuale quando si fanno confronti, ad esempio tra Italia ed Europa. Ma su ciascun aspetto di un fenomeno, ad esempio il lavoro, i numeri che si possono prendere in considerazione sono più di uno: gli occupati, i disoccupati, i dipendenti o gli autonomi, quelli con rapporto permanente o temporaneo e così via.

Come è evidente, quindi, ad ogni uscita di dati gli utilizzatori si trovano davanti ad un ventaglio di possibilità di letture e di valorizzazione di un esito rispetto ad un altro. Come orientarsi, allora, di fronte a questa enorme varietà di numeri? Un esperto normalmente si fa una bella tabella con tutti i numeri, li legge e fa un ragionamento integrato prendendo in considerazione diversi aspetti del fenomeno. Ciò richiede un po’ di tempo e minime competenze ed impone, appunto, una lettura ragionata. Ma è possibile questo nella odierna società in cui il dato viene fornito alle ore dieci e dopo tre minuti nelle agenzie di stampa viene riportato un comunicato che li sintetizza? E dopo un minuto esce anche un tweet del presidente del consiglio che dal carciofo con tante foglie ha già scelto quella più bella dettando il titolo per stampa e Tv? E cosa può fare chi vuole tentare una lettura più articolata del dato o diversa?

I meccanismi comunicativi a questo punto lasciano due sole possibilità: stare zitti e magari, per chi non demorde, con calma fare un bell’articolo su un rivista di economia o sul sito di Sbilanciamoci, oppure fare una operazione simmetrica a quella già partita ed arrivata ai cittadini scegliendo dallo stesso carciofo la foglia più spinosa o ingiallita e recitare la parte già assegnata del gufo. Ruolo normalmente svolto da Renato Brunetta che, anche se fa osservazioni corrette perché in materia ci capisce, fa parte di uno spartito teatrale già scritto tanto che i giornalisti vanno subito da lui per rendere più leggibile il pezzo con qualche nota di colore.

Questo mese si poteva dire che a gennaio, rispetto a dicembre, gli occupati sono aumentati di 79 mila, oppure che rispetto a dodici mesi fa di 300 mila, oppure che i soli permanenti sono aumentati di quasi 500 mila per l’effetto transito ai contratti a tutele crescenti. Chi ha scelto cosa: è facile da indovinare. In realtà nel corso del 2015, rispetto al 2014, i posti di lavoro in più sono stati 196 mila e questa è la cifra più vicina all’incremento vero prodotto dal combinato di jobs act e decontribuzioni. Meno degli altri paesi europei dove non ci sono stati i nostri fuochi di artificio, ma noi li produciamo a basso prezzo.

Che dire di un paese e di una politica in cui ogni mese si ripete questa recita parrocchiale? Perché meravigliarsi se la gente continua ad allontanarsi dalla politica? Se quelli che ancora resistono sono costretti a tifare per una delle parti in campo chiamati non a capire, ma a fidarsi del leader e ciascun del proprio? Certo per chi è più rigoroso, spesso la domenica successiva esce sul Sole 24 ore uno scritto di Luca Ricolfi, studioso-editorialista rigoroso analista di dati, ma la frittata è già fatta.

E la politica va, nel suo teatrino con un pubblico sempre più ridotto e sempre più annoiato dalla solita commedia all’italiana. Nel paese della grande Enciclopedia la locuzione “la politica dà i numeri” si allontana sempre di più dal significato che la politica si misura con obiettivi e risultati precisi e quantificati e si avvicina sempre di più ad una immagine psichiatrica.