Quest’anno il ricordo è corso sui social e sui media, la pandemia ha reso quasi impossibili le manifestazioni in presenza e la memoria si è diffusa nell’etere. Così il 16 ottobre 2020 ha segnato un nuovo modo di ‘fare memoria’ anche a distanza di settantasei anni dal quel 1943 della razzia degli ebrei romani: 1023 uomini, donne e bambini furono catturati in tutta la città, rinchiusi al Collegio militare e dopo due giorni fatti salire sui vagoni alla stazione Tiburtina. La cattura avvenne di sabato all’alba, il treno partì il lunedì. Riporta un fonogramma inviato allora dalla Questura di Roma per il Ministero dell’Interno: «Oggi alle ore 14 è partito dalla stazione Tiburtina treno DDA con 28 carri di ebrei (mille circa) tra donne, bambini et uomini diretto a Brennero. Nessun incidente». Nulla infatti turbò quel corteo di anime disperate. La resistenza civile della città si espresse timidamente in quelle ore consegnando i biglietti lasciati cadere furtivamente dai treni, nascondendo interi nuclei famigliari nelle case, nei conventi, nelle fontane. Fu resistenza sommersa a cui fecero da controaltare le delazioni che consegnarono, nei rimanenti nove mesi di occupazione tedesca di Roma, altri mille ebrei alla deportazione verso i campi di sterminio. Di quel primo treno partito da Tiburtina tornarono in quindici uomini e una donna. Gli altri finirono in fumo.

Quest’anno la partecipazione alle iniziative è stata contingentata a causa del covid ma la memoria ha trovato una strada nuova e diffusa: significativa l’iniziativa messa on line dell’Archivio storico della Presidenza della Repubblica, rilevanti le pillole che hanno accompagnato la giornata degli ascoltatori di Radiotre rai, efficace il video animato Il rastrellamento degli ebrei di Roma destinato alle scuole sul portale «scuola e memoria» del Miur e dell’Unione delle Comunità Ebraiche. Per domani (sabato ndr) la tradizionale fiaccolata della Comunità di sant’Egidio si è trasformata in un sit-in alle 19.30.

Ma sono stati soprattutto i social a essere protagonisti di una memoria diffusa ancora viva e prossima. In rete, i figli e i nipoti degli ebrei, razziati o salvati, hanno raccontato le memorie famigliari piccole e minute, singole storie di cattura e salvezza. «Mia madre diceva sempre – si racconta su una chat che ha decine e decine di aderenti – che il 16 ottobre pure il Padre Eterno piangeva. Per questo piove sempre il 16 ottobre». Anche sui social ‘generalisti’ è il ricordo personale a farsi protagonista: «Mio padre ricordava di essersi salvato dentro una fontana». «Mio nonno e i suoi fratelli si nascosero sotto Ponte Garibaldi». «A quest’ora i miei erano già a Regina Coeli». Racconti che conservano le asperità e i nodi irrisolti della memoria diretta: «Mio padre scappò in Argentina nel 1938 per le leggi razziali e quando seppe della razzia non si perdonò mai di essere scampato. Si sentì in colpa tutta la vita». Qualcuno riprende le parole scritte sul calendario: «16 ottobre, infamia tedesca». Per commento parole sobrie o slogan: «Mai più», «Non dimentichiamo», «Il peggio dell’umanità», «Come si fa a dimenticare?». A corredo faccine piangenti e tanti punti esclamativi. Anche questo, forse, è un nuovo modo di fare memoria.

Qualcosa ha reso questo 16 ottobre particolarmente prossimo: forse il ritorno nel vocabolario corrente di parole come ‘coprifuoco’ che sembravano dimenticate, forse la mancanza di una celebrazione ufficiale forte e in presenza che funga da catalizzatrice di impegno, ricordi ed emozioni. E’ stato comunque un 16 ottobre di ricordo.