Date diverse nel 2016, stessa data nel 2020 quando però si trattava di referendum costituzionale (senza quorum) e date identiche quest’anno. Referendum ed elezioni amministrative si sono spesso incrociati – anche perché i referendum abrogativi devono tenersi per legge tra il 15 aprile e il 15 giugno, periodo tradizionalmente elettorale – ma quasi mai sovrapposti. L’episodio del 2020 non fa testo perché si trattava del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. L’unico precedente di voto contemporaneo per sindaci e referendum abrogativo – che ha bisogno del 50% più uno dei votanti per essere valido – risale al 2009. Allora per tenere assieme tre referendum elettorali e il secondo turno delle amministrative fu necessaria una legge. Perché per scansare le europee si finì oltre la data limite del 15 giugno: si votò il 21 e 22 e fu del tutto inutile ai fini del quorum, che non fu raggiunto lo stesso. Quest’anno invece l’abbinamento dei referendum sulla giustizia e le elezioni amministrative pare cosa fatta. E, per la prima volta, l’abbinamento sarà con il primo turno elettorale.

Per i cinque referendum si voterà il 12 giugno, lo stesso giorno in cui saranno chiamati alle urne circa otto milioni di elettori in poco meno di mille comuni (tra i quali Genova, Palermo, Messina, Monza, Padova, Parma, Piacenza, Taranto e Verona). La decisione, che attende solo (questa settimana o la prossima) il passaggio formale in Consiglio dei ministri, è stata presa ufficialmente per ragioni pratiche. La prima è evitare di chiudere due volte e anticipatamente le scuole: in molte regioni (non in tutte) il calendario scolastico termina proprio venerdì 10 giugno. Ci sono poi ragioni legate al Covid (meglio evitare una doppia convocazione degli elettori) e al risparmio nell’allestimento dei seggi. Anche sei in passato questo argomento era stato utilizzato al contrario visto che la divisione degli oneri non è semplice: il referendum è a carico dello stato e le amministrative dei comuni. Ma ben oltre le motivazioni ufficiali la scelta delle date è una scelta politica, come lo fu quella di Renzi nel 2016 di distanziare il referendum sulle trivellazioni dalle elezioni per sabotare il quorum (gli riuscì). Questa volta sono i promotori e sostenitori dei referendum giustizia a essere contenti, perché senza più i due referendum di maggior richiamo (Cannabis ed eutanasia, bloccati dalla Corte costituzionale) l’affluenza rischiava altrimenti di crollare. Non che l’abbinamento alle amministrative sia più una garanzia, a Genova per esempio cinque anni fa anche al primo turno votò meno del 50% degli aventi diritto.

È però una grossa mano, anche se la Lega è contenta a metà perché considera il 12 giugno una data troppo avanzata (e che dire del secondo turno che sarà in piena estate, 26 e 27 giugno?). L’ordine del giorno per l’abbinamento approvato a febbraio non obbligava peraltro a scegliere il primo turno. Centrodestra e centrosinistra, anche se alleati di governo, in ogni caso non avranno problemi a dividersi sui referendum: alle amministrative si sarebbero comunque fronteggiati. Casomai il problema di pensarla diversamente su alcuni quesiti (separazione rigida delle funzioni, legge Severino) è interno alle coalizioni. Specie nel Pd.