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Ryuichi Sakamoto e Alva Noto, viaggio nel mondo della penombra«Quante altre volte vedrai la luna piena?» chiede il narratore di The Sheltering Sky (Il tè nel deserto) in uno dei suoi momenti più citati. Riprendendo il testo di Paul Bowles già magistralmente musicato per il cinema, Ryuichi Sakamoto si è da tempo posto la domanda in prima persona, traendone il titolo per una serie di articoli nei quali ha confessato la propria malattia. Consapevoli della sua irreversibile convivenza con il male, troviamo difficile non chiederci a nostra volta per quanto tempo ancora la sua musica accompagnerà la luna piena. «Potrebbe essere l’ultima volta che mi vedrete suonare», aveva dichiarato candidamente poco più di un mese fa presentando Playing The Piano 2022, concerto registrato a spezzoni nello studio 509 di Tokyo e trasmesso in streaming l’11 dicembre. Ora, per il suo settantunesimo compleanno, il compositore giapponese pubblica per Milan Records l’equivalente musicale di quegli articoli autobiografici, un diario sonoro che scandisce le tappe dell’ennesima convalescenza. Nessun titolo per i brani, a eccezione della Sarabande; solo cifre a indicarne la data di incisione

«DOPO ESSERE finalmente “tornato a casa”, al mio nuovo alloggio temporaneo, ho ripreso il sintetizzatore», racconta. «Non avevo intenzione di comporre; volevo solo essere inondato di suono. D’ora in poi continuerò a tenere questo tipo di diario, finché il mio corpo reggerà». Nessun titolo per i brani, a eccezione della Sarabande; solo cifre a indicarne la data di registrazione, come semplici file audio.
«Li pubblico intenzionalmente così come sono, per presentare i miei suoni grezzi e attuali», dice Sakamoto. A battezzare la raccolta il numero di tracce, quel 12 che nell’aritmetica musicale è canonico e simbolico allo stesso tempo. Storia trita e ritrita, quella della concordanza tra le suddivisioni semitonali del sistema temperato e quelle cronologiche, religiose e astrologiche imperniate sulla stessa unità di misura; ma in questo caso si fa fatica a non caricare di significati altri quella doppia cifra.
Per Sakamoto gli attributi di espressione artistica e consapevolezza tradizionalmente legati al 12 hanno indubbiamente più valore che mai, in questo momento. Così come il concetto di tempo, anch’esso articolato su medesima base numerica e scandito da date già di per sé dense di informazioni. Alla crudezza del primo synth registrato il 10 marzo del 2021 seguono otto mesi di silenzio, finalmente spezzato da due giorni di meditazioni al pianoforte. Poche note, cautamente alternate al respiro del compositore.

POI IL DIARIO entra nel nuovo anno, tra pagine bianche e grappoli di suoni la cui inquietudine richiama il vecchio Dies Irae rielaborato da Sakamoto a inizio febbraio, con gesto sempre più compositivo culminato nella Sarabanda del 2 marzo. Un giorno ispirato, assicura il brano successivo, ancora in tre quarti. L’astrazione cede il passo all’empatia, e prima del clangore conclusivo la primavera scioglie il movimento armonico e timbrico in due episodi sospesi tra Chick Corea e Debussy per un epilogo impressionistico, quasi un nuovo Chiaro di luna.