Migliaia di persone, un fiume in piena alle 14.30 in punto si riversa nelle strade di Napoli. Poco importa il solito balletto di numeri, centomila per gli organizzatori 30 mila per la Questura. La manifestazione contro l’ecocidio della Campania è la prova che ribellarsi si può. Migliaia di volti, tutti diversi ma scesi in piazza in una unione di intenti che solitamente è difficile a mettere insieme. I bambini che con gli impermeabili gialli e le calosce ai piedi sfidano il vento e la pioggia battente. Le madri che hanno perso i figli ammalati di tumore che mostrano le gigantografie dei loro cari. I giovani, tantissimi e accompagnati dai meno giovani ancora ballano e cantano «Contessa».

Volti nuovi accanto a quelli storici che intonano vecchi slogan, come «pagherete caro, pagherete tutto» per poi passare a quelli tutti partenopei che fotografano il momento tragico: «La monnezza non va bruciata, raccolta, raccolta differenziata». Un gruppo di alunni delle elementari porta un lenzuolo con un messaggio per il paese: «Cosa aspettate che facciamo la cacca blu?». Scortato da madri e maestre, Alessandra, Paola, Patrizia,fanno parte dell’associazione un nuovo mondo.org: «Questi bambini devono avere consapevolezza che quella natura che amano è malata e può uccidere». A pochi metri da loro si apre il lungo serpentone di tutti quelli che vogliono mettere la parola fine agli sversamenti illegali e chiedono a gran voce una mappatura delle aree a rischio. Hanno in testa al corteo uno striscione con su scritto a caratteri cubitali «Stop biocidio» e issano le foto di quelli che, secondo loro, sono i responsabili della catastrofe ambientale che uccide in provincia di Napoli e Caserta. Gli ex governatori Antonio Rastrelli (all’epoca An) e Antonio Bassolino, i prefetti Catenacci e Panza, i supercommissari Guido Bertolaso e Gianni De Gennaro.

Un messaggio di speranza arriva da Don Patriciello che marcia con loro in prima fila: «La nostra madre terra è moribonda, ma non è morta». Il parroco di Caivano che da anni lotta apertamente contro le ecomafie cammina sotto il braccio di un idolo dei napoletani, il cantante Nino D’Angelo che poi salirà sul palco di piazza del plebiscito parlando al cuore della sua gente: «Io vivo qui a Casoria è uno scempio che hanno fatto in trent’anni dobbiamo ribellarci». Con loro anche Maurizio Landini, leader della Fiom: «Era doveroso esserci», dice.

Corso Umberto, il cosiddetto Rettifilo, è rigonfio. Tant’è che quando l’inizio del corteo è a piazza del Plebiscito la coda ancora deve passare davanti alla Questura. Bilancio positivo nonostante le diverse anime di questo movimento. Anche la contestazione agli addetti del comune di Napoli che si sono in un primo momento posizionati davanti a tutti con il gonfalone del capoluogo, è low profile. Vengono rimandati indietro, seppur aspramente, con le altre istituzioni, i rappresentanti dei comuni di Caivano, Pozzuoli, Casoria e tanti altri. Il primo cittadino Luigi De Magistris arriva a metà della manifestazione e non viene attaccato, come minacciato, dallo zoccolo duro dei comitati. Stringe mani, scambia qualche chiacchiera, sfila per un po’ ma senza fascia tricolore. Venerdì aveva risposto in consiglio a Pietro Rinaldi eletto in quota centri sociali che gli aveva chiesto di non manifestare: «Questa piazza non è mia, ma non è manco tua». In corteo, infatti, molti i suoi sostenitori, come il gruppo di risveglio cittadino Ue Cap: «Questo sindaco si è sempre battuto contro gli inceneritori in regione e per la raccolta differenziata» spiegano.

Di più, numericamente parlando, i rappresentanti del mondo antagonista o come veniva definito un tempo disobbediente, quelli con le maschere di Anonymus, gli anarchici. Davanti alla camera di commercio srotolano uno striscione che copre completamente la statua di Vittorio Emanuele II: «Camorra, stato, imprenditori. Stesse colpe». Arrabbiati (e come dargli torto) scandiscono slogan contro le istituzioni: «Chi ha inquinato deve pagare» e «Assassini in giacca e cravatta». Ma è la manifestazione di tutti, delle mamme vulcaniche vestite in rosso, degli zampognari, dei medici per l’ambiente, e ancora dei lavoratori di Pomigliano, dei frati francescani, dei suonatori di tammorre, degli studenti e dei cittadini di ogni età. «Occorre subito – spiega Francesco Ferrante dell’associazione Green Italia – rendere pubblica e aggiornare l’attività censimento dei siti contaminati, a salvaguardia della salute pubblica e nell’interesse della filiera agroalimentare campana, come del resto bisogna accelerare sul Registro Tumori della Regione Campania».

Si arriva così nel grosso piazzale davanti il Palazzo reale che è completamente coperto dagli ombrelli. Prendono la parola l’oncologo Antonio Marfella che chiede al governo ancora una volta di riconoscere il nesso tra inquinamento e insorgenza delle malattie, Padre Alex Zanotelli, i rappresentati dei comitati della Terra dei Fuochi. Un lungo discorso anche quello di don Patricello: «Bisogna cambiare passo, è insopportabile. Ora sappiamo quello che per tanto tempo è stato taciuto. Ora basta serve pagina nuova». E sono applausi. Poi però quando chiede al presidente Napolitano di intervenire dalla folla si levano fischi e in molti gridano «assassino assasino». E’ la sfiducia nello Stato che si è voltato dall’altro lato.