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L’1% arabo è diviso tra origini e presente

L’1% arabo è diviso tra origini e presenteJoe Biden nel 2016, all’epoca della vicepresidenza, ad Abu Dhabi – Ap

Elezioni 2020 Arabi e musulmani sono solo 3,5 milioni ma in quattro Stati potrebbero essere determinanti. A incidere sul voto sono le politiche interne, non quelle mediorientali

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 30 ottobre 2020

In queste ultime settimane James Zogby non ha mancato occasione per rilasciare interviste a giornali, radio e tv delle città e degli Stati dove sono presenti comunità di americani di origine araba.

Il fondatore e presidente del prestigioso Arab American Institute ha insistito su due punti: occorre andare alle urne e votare per Joe Biden perché è vitale allontanare dalla Casa bianca Donald Trump.

«Sono d’accordo con Zogby sul voto utile – ci dice Vivian Khalaf, avvocata 51enne di origine palestinese giunta negli States con la famiglia da adolescente – Mandare a casa Trump è fondamentale e non solo per la sua distruttiva politica estera, in particolare in Medio oriente».

Il presidente, aggiunge, «è stato un disastro sotto tutti i punti di vista: per la gestione dell’emergenza coronavirus, perché strizza l’occhio ai suprematisti bianchi, per il Muslim ban, per la mancata condanna delle violenze della polizia contro gli afroamericani. Questi sono solo alcuni dei motivi che, in quanto cittadini americani, ci devono spingere a scegliere Biden».

Khalaf è vicina al senatore socialista Bernie Sanders: «L’ho sostenuto durante le primarie, certo avrei voluto lui e non Biden in questa sfida per la Casa Bianca ma le cose sono andate diversamente, ora votiamo in modo utile, liberiamoci di Trump. Poi faremo le opportune pressioni su Biden».

Khalaf incarna il coinvolgimento nella campagna per le presidenziali degli arabo americani. La loro partecipazione al voto si prevede più elevata rispetto al 2016. Ci si chiede però quanto potrà essere determinante per la nomina del presidente. Poco in apparenza: sono poco più di 3,5 milioni e rappresentano appena l’1% degli aventi diritto al voto.

Ma quattro dei sette Stati in cui, secondo gli esperti, si giocherà la partita elettorale vedono la presenza di grosse comunità arabo americane. In questi Stati – Michigan, Florida, Ohio e Pennsylvania – nel 2016 Trump superò Hillary Clinton di poco. In Michigan vinse per 11mila voti.

È proprio in questo Stato, in cui risiedono 400mila statunitensi di origine araba, che gli attivisti pro-Biden si stanno impegnando a fondo. In prima linea c’è la deputata Rashida Tlaib, di origine palestinese, eletta in Michigan, che assieme alle colleghe Alexandria Ocasio-Cortez (New York), Ilhan Omar (Minnesota) e Ayanna Pressley forma The Squad, le congresswomen spina nel fianco di Donald Trump e dell’establishment tradizionale democratico.

Vincere in particolare in Michigan e Florida consegnerebbe a Joe Biden la vittoria. Ma gli arabi e i musulmani americani voteranno compatti per Biden di fronte a un Trump disastroso per i loro interessi negli Usa e nei paesi di origine?

«Il peggior nemico di Joe Biden è proprio Joe Biden quando parliamo di Medio oriente – afferma Sami Zahra, un esperto di software da oltre 40 anni residente a San Francisco in California – Certo, in politica interna le ragioni per scegliere Biden sono innumerevoli, a cominciare dai diritti civili, e poi Trump è anti-palestinese e contro l’Islam».

Allo stesso tempo, aggiunge Zahra, «si deve tenere conto che per tanti arabi la politica Usa verso i paesi di origine riveste una grande importanza. Sanno che con Biden non ci saranno miglioramenti nella linea verso la questione palestinese e che sarà forse persino più stretta l’alleanza Usa-Israele. Biden ha già anticipato che manterrà l’ambasciata a Gerusalemme e non la riporterà a Tel Aviv. Dubito che si distaccherà dai piani di Trump».

Zahra non parteciperà al voto del 3 novembre. «Non sceglierò il male minore, non approvo l’appello al voto utile. Capisco il bisogno di liberarci del pericolo Trump ma così come nel 2016 non mi piaceva Hillary Clinton oggi non piace Biden», conclude.

L’attivista e scrittore Khaled Beydoun insiste sulla complessità della comunità araba. «Arabi e musulmani americani, di solito vengono fusi in un monolite dall’immaginario dominante, invece sono un popolo fatto di tasselli diversi, una realtà stratificata» sottolinea sui social e in articoli.

«In Michigan – spiega – il percorso di Biden in realtà è pieno di buche come le famigerate strade di Detroit». Beydoun riferisce che malgrado il Muslim ban ci sono musulmani giunti da Libano, Siria, Iran che preferiscono Trump perché «ha contribuito a sconfiggere l’Isis», perché «è contro Bashar Assad» e ha messo di nuovo sotto pressione Tehran.

Senza dimenticare che un cittadino originario di una monarchia del Golfo spesso ha una opinione positiva di Trump. E dubita che un arabo americano di seconda o terza generazione abbia il Medio Oriente tra le sue priorità.

Il professore Issam Nassar, docente di storia del Medio oriente all’Illinois State University, spiega che «l’Accordo di Abramo e le ramificazioni della normalizzazione dei rapporti tra paesi arabi e Israele non sono un tema centrale per una bella fetta di arabo americani. Solo quelli di origine palestinese, per ragioni comprensibili, sono davvero impegnati sulle questioni mediorientali».

Pesa anche la politica economica. «Non pochi – continua – pensano che Trump abbia fatto del suo meglio per creare posti di lavoro e tenere in piedi il sistema economico colpito dalle conseguenze della pandemia. Si fidano più di lui che di Biden». Per quanto sorprendente possa apparire, conclude il docente, «una porzione di elettori arabi daranno il voto a Trump».

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