In Turchia è strage di kurdi. Secondo la stampa locale, in meno di un mese di operazioni ufficialmente anti-Isis e Pkk, ma soprattutto rivolte ad azzerare il partito di Ocalan, sarebbero morti 771 tra civili e militanti del partito dei lavoratori kurdi. E 55 sono invece i morti tra le forze di sicurezza turche.

Le operazioni anti-Pkk sono iniziate il 24 luglio in seguito all’annuncio di un accordo tra Ankara e Washington per l’uso delle basi nel Kurdistan turco contro lo Stato islamico in Siria e la formazione di safe-zone turche in territorio siriano. Pochi giorni prima un attentato a Suruç, al confine tra Turchia e Siria, aveva causato la morte di 33 giovani socialisti che avrebbero dovuto portare aiuti per la ricostruzione di Kobane (Rojava).

L’ultima vittima degli scontri è Ali Akpinar, 19 anni, attaccato da uomini mascherati nella sua abitazione di Mardin. Akpinar era già rimasto ferito in un’esplosione nel quartiere di Artuklu. Prima di lui, a Nusaybin (altro quartiere dell’antica città del Kurdistan turco) tre civili sono rimasti feriti per una bomba collocata su un ponte dai miliziani del Pkk.

A Istanbul, dopo gli attacchi al consolato Usa e al palazzo Dolmabahce, due uomini armati hanno attaccato le stazioni di polizia di Esenyurt. A Sirnak un uomo ha aperto il fuoco contro la polizia di Uludere. Mentre a Karacali i poliziotti hanno rinvenuto due ordigni inesplosi. Nella provincia di Hakkari, cinque membri del Pkk sono stati uccisi dalla polizia nel quartiere di Yuksekova. Secondo le autorità turche, sono 854 i militanti Pkk ad essersi consegnati alla polizia, rinunciando alla lotta armata, da marzo.

Il popolo kurdo continua la sua resistenza organizzandosi in comitati popolari e bloccando le strade. Da Amed a Sirnak, da Gazi a Silopi, da Hakkari a Cizre fino a Nusaybin, assemblee popolari locali hanno annunciato di non riconoscere più le istituzioni statali, dichiarando che si autogestiranno e si auto-difenderanno. Da sei giorni sono in sciopero della fame i prigionieri politici di Pkk e del partito kurdo iraniano Pjak, nelle carceri turche.

Il premier in pectore Ahmet Davutoglu ha ripetuto che non è in corso un’operazione contro i kurdi, ma contro il partito di Ocalan. Ovviamente popolo kurdo e Pkk non sono sovrapponibili ed è nell’interesse del partito di Erdogan motivare i nazionalisti kurdi ad abbandonare il partito democratico del Popolo (Hdp) in vista delle elezioni anticipate.

Il voto deve tenersi entro il 22 novembre, quando scade il termine prefissato dalla Costituzione in seguito alla remissione del mandato di Davutoglu nelle mani del presidente. E così la data stabilita per le elezioni è il 1 novembre. Tutti i colloqui per la formazione di governi di minoranza, di scopo o di coalizione sono falliti per la completa indisponibilità di Akp (che nelle urne del 7 giugno ha ottenuto il 40%) di raggiungere un compromesso con il secondo partito: i kemalisti di Kilicdaroglu.

Si andrà al voto con il governo ad interim di Davutoglu (in cui potrebbero anche esserci ministri di Hdp). Questo ricorso ad elezioni anticipate suona come strategia consolidata. Continui ritorni alle urne servono per marginalizzare e disattivare i movimenti. Questa è la strategia di Erdogan nei confronti della sinistra filo-kurda di Demirtas.

Ma Hdp non si fa intimidire e punta a fare man bassa di voti. Dal quartier generale del partito si spera che nel voto di novembre Hdp possa superare il 13% (e addirittura puntare al 20% dei consensi). In attesa del voto, il governo ha chiesto al parlamento l’estensione della campagna in Siria e in Iraq, prima che si formi il nuovo governo che potrebbe ostacolare il provvedimento.