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«Wissem Abdel Latif è rimasto legato e sedato per 100 ore prima di morire»

foto Wissem Ben Abdel LatifWissem Ben Abdel Latif

Il caso Il 26enne tunisino deceduto il 28 novembre scorso all’ospedale romano San Camillo. Dopo la quarantena sulla nave Atlas era stato portato nel Cpr di Ponte Galeria. L'avvocato: va contestato anche il reato di sequestro di persona

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 15 marzo 2022

Wissem Ben Abdel Latif ha trascorso i suoi ultimi cinque giorni di vita legato a un letto di ospedale e sedato, senza possibilità di comunicare. È rimasto in contenzione per 40 ore consecutive all’ospedale Grassi di Ostia, dove era stato trasferito il 23 novembre 2021 dal Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria, e poi per altre 63 ore in un corridoio del reparto psichiatrico dell’ospedale romano San Camillo, dove è arrivato il 25 del mese. Ha avuto braccia e gambe libere solo nel trasferimento da una struttura all’altra. Si è spento il 28 per arresto cardio circolatorio.

«Lo hanno lasciato scivolare verso la morte. La contenzione è permessa solo per brevi periodi dopo episodi di violenza. Se è permanente non ha giustificazioni», dichiara l’avvocato della famiglia Francesco Romeo. Ieri l’Associazione stampa romana ha ospitato la presentazione del comitato «Verità e giustizia per Wissem Ben Abdel Latif». È promosso da Lasciatecientrare, che segue la vicenda dall’inizio, Fondazione Franca e Franco Basaglia, Psichiatria democratica e Associazione Sergio Piro. Decine le adesioni.

Il 26enne tunisino era sbarcato a Lampedusa il 2 ottobre scorso. Nei 56 giorni trascorsi in Italia ha conosciuto solo segregazione, etnica e non. Dopo l’hotspot finisce sulla nave quarantena Atlas. Da lì al Cpr, il 13 ottobre. Per i tunisini l’isolamento sanitario galleggiante diventa spesso l’anticamera di detenzione amministrativa ed eventualmente rimpatrio.

L’8 novembre uno psichiatra del Centro di salute mentale lo incontra dietro le sbarre e diagnostica con una sola visita il disturbo schizoaffettivo, una grave patologia. Il ragazzo non aveva mai mostrato sintomi. Due settimane dopo viene disposto il trasferimento al Grassi. Da quel momento Abdel Latif non può più comunicare. Un mediatore culturale arriva solo il giorno prima del decesso al San Camillo, ma lui dorme profondamente a causa dei sedativi.

Per avere i dettagli del calvario sanitario l’avvocato Romeo ha dovuto chiedere l’intervento della procura di Roma: la «Direzione regionale salute e integrazione sociosanitaria» del Lazio si è rifiutata di trasmettergli i documenti richiesti. Le carte dicono che tra il 23 e il 28 novembre Abdel Latif è stato alimentato un’unica volta, il 24, e poi sottoposto solo a idratazione. La creatina fosfochinasi, enzima presente in cellule e tessuti, era arrivata a 7.051 unità per litro. Il livello normale è 200. La contenzione causa simili aumenti. Il ragazzo non è stato sottoposto a elettrocardiogramma. Nella cartella clinica, inoltre, mancano le schede di contenzione, mentre le annotazioni mediche sono firmate solo con le iniziali del personale medico.

La procura ha aperto un’indagine contro ignoti per omicidio colposo, ma la difesa chiederà ai pm di formulare anche l’ipotesi di sequestro di persona. «È questa la strada per perseguire i maltrattamenti in forma di contenzione, come mostra la sentenza Mastrogiovanni», afferma Maria Grazia Giannichedda, presidente della Fondazione Basaglia. Francesco Mastrogiovanni, maestro e anarchico, morì il 4 agosto 2009 all’ospedale San Luca di Vallo della Lucania dopo essere rimasto legato 83 ore. Medici e infermieri sono stati condannati in Cassazione per sequestro di persona.

«Abdel Latif ha subito un doppio abominio: i Cpr e la contenzione», ha detto ieri il senatore Gregorio De Falco (gruppo misto). Yasmine Accardo, di Lasciatecientrare, ha promesso: «Continueremo a cercare verità e giustizia per Wissem e tutti gli altri che combattono per superare le frontiere».

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