Un’Autorità a una dimensione
Ri-Mediamo L'incubo permanente del conflitto di interessi tracima anche sul digitale terrestre
Ri-Mediamo L'incubo permanente del conflitto di interessi tracima anche sul digitale terrestre
Due pesi, due misure. Per usare un dolce eufemismo. Nel volgere di pochi giorni dello scorso mese di aprile, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha varato una coppia di delibere indicative di un ben preciso clima politico e culturale. Vale a dire, il privilegio attribuito a Mediaset nel vecchio e ancora rilevante sistema televisivo.
In un articolo pubblicato il 14 maggio su L’Espresso online, un giornalista attento a tali vicende – come Carlo Tecce – ha fatto conoscere una imbarazzante decisione dell’Agcom, volta a dare la patente di rete nazionale generalista al canale 20 del digitale terrestre (151 su Sky), che si identifica con il simbolo del biscione. Insomma, entra in scena un vero e proprio quarto canale, alla stregua dei noti Canale5, Rete4 e Italia1.
La replica dell’Agcom allo scritto disvelatore è in puro stile da azzeccagarbugli. Ci si riferisce all’articolo 1 comma 1035 della legge di bilancio del 2018, in merito alla numerazione dei canali. Ma che c’entra la collocazione sul telecomando con il riconoscimento delle frequenze acquisite da Mediaset nel 2017 da Rete Capri (sulla cui vicenda si potrebbe scrivere un romanzetto, vedi il via libera amministrativo del 1999 da parte di un Tar incompetente territorialmente, senza opposizione dell’avvocatura dello stato) a mo’ di soggetto appartenente alla prima fascia delle emittenti?
In verità, l’unica scusante per l’organismo presieduto da Giacomo Lasorella è di avere come complice il ministero dello sviluppo economico, cui sono demandate le responsabilità in merito alla numerazione. Tuttavia, non sarà un caso se l’atto è firmato da Laura Aria, certamente esperta e professionalmente avveduta, e tuttavia voluta lì da Forza Italia.
Il conflitto di interessi è un incubo permanente?
Neppure regge l’alibi del comma 7 dell’articolo 43 del Testo unico della radiodiffusione del 2005, che trasformò il limite del 20% delle reti nazionali analogiche previsto dalle l. 249 del 1997 come tetto antitrust, in uno sbiadito 20% dei programmi riferiti all’intero universo digitale. Governava Gasparri.
Non è lecito, però, stravolgere così un mosaico differenziato: Rai1 o Canale5 non si possono assimilare, ad esempio, a un tasto che corre sul digitale. Il potere dei media e nei media esiste, eccome.
Mettiamo in relazione quella delibera con la cugina – pressoché contestuale- che ha punito la Rai per uno sforamento notturno negli affollamenti pubblicitari. La capacità coercitiva di un’istituzione altre volte distratta si è abbattuta con precisione cronometrica su di un surplus pubblicitario del 2,4% tra la mezzanotte e l’una del 27 settembre del 2020.
La Rai ha una percentuale di spot consentiti del 12% per ora di trasmissione, con una tolleranza del 2% se si recupera prima o dopo. In quel periodo fatidico il servizio pubblico toccò il 16,4%. Naturalmente, in quella finestra l’ascolto è basso: la corsa alle inserzioni avviene nella prima serata. 15.493,50 euro di multa. Poco o tanto che sia, viene da riflettere.
A occhio nudo si riscontrano infrazioni quotidiane della par condicio (per dirne una: Calenda non stop in video?) o, sui canali privati, della disciplina sulle interruzioni dei film. Insomma, gli interventi sanzionatori sembrano a senso unico.
Non c‘è neppure bisogno di sottolineare quanto sia doveroso avere la massima cura nel tutelare indipendenza e imparzialità. Soprattutto se si vuole interagire con determinazione nei confronti degli oligarchi della rete, nel momento in cui in Europa spira finalmente un vento regolatorio.
Sembra, invece, di assistere ad un copione logoro, ma sempre attuale. Mediaset è «più uguale» del resto del mondo e una certa benevolenza è sempre accordata, magari in cambio di un atteggiamento politicamente morbido della casa madre politica. Peccato che Rete4, forse contravvenendo agli stessi input di Silvio Berlusconi e Gianni Letta, sia diventata un megafono di Matteo Salvini.
Non è forse ragionevole, a questo punto, approfittare del recepimento della direttiva europea sui servizi media audiovisivi (2018/1808) per operare un ripensamento, che riallinei l’Italia ai paesi evoluti, ed azzeri i privilegi?
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