Tuscolano, pubblico al bando
Il bando Con «Reinventing Cities» messi all’asta cinque ettari di Roma. In mezzo il centro sociale Scup. «L’architettura contemporanea cala dall’alto oggetti scintillanti ma slegati dalle esigenze di chi abita i territori, con l’unico obiettivo di far competere le città nel mercato globale», sintetizza l’architetto Maurizio Crocco
Il bando Con «Reinventing Cities» messi all’asta cinque ettari di Roma. In mezzo il centro sociale Scup. «L’architettura contemporanea cala dall’alto oggetti scintillanti ma slegati dalle esigenze di chi abita i territori, con l’unico obiettivo di far competere le città nel mercato globale», sintetizza l’architetto Maurizio Crocco
«È una vicenda emblematica di come funziona l’architettura contemporanea: cala dall’alto oggetti scintillanti ma slegati dalle esigenze di chi abita i territori, con l’unico obiettivo di far competere le città nel mercato globale», sintetizza l’architetto Maurizio Crocco. La «vicenda» è l’arrivo sul tetto del centro sociale romano Scup di un mega bando di «rigenerazione urbana» che interessa 49.800 metri quadrati intorno alla stazione Tuscolana. Una fascia di territorio estesa come sette campi di calcio e incastonata tra i binari della ferrovia e i palazzi di una delle aree più popolose della capitale: da via Adria, a ridosso dell’Appia Nuova, al ponte Casilino, vicino al quartiere Pigneto.
È IL PIÙ più grande dei quattro siti di Roma selezionati per «Reinventing city», sottotitolo: «Un bando globale per progetti urbani innovativi, resilienti e a emissioni zero». Gli altri sono: il Mira Lanza, complesso di archeologia industriale abbandonato dal Dopoguerra, nel quartiere Ostiense; la Ex Filanda, istituto di artigianato ormai vuoto vicino la basilica di San Giovanni; l’ex Mercato di Torre Spaccata, nella parte orientale della città.
NELLO STESSO BANDO planetario, ma declinato localmente, ci sono progetti situati in altre 20 città del pianeta: da Buenos Aires a Cape Town, da Melbourne a Chicago, passando per Quezon City e Delhi. L’edizione 2020 è stata la prima per Roma, mentre Milano è alla seconda. A promuovere la riscrittura di spazi urbani così distanti all’interno di un comune spartito è C40 (Cities Climate Leadership Group), rete di città fondata nel 2015 con lo scopo di «condividere strategie per la riduzione delle emissioni di carbonio e stimolare un’azione globale contro il cambiamento climatico». Dall’ultimo report annuale sappiamo che raggruppa 96 world leading cities, dove vivono oltre 800 milioni di persone e da cui passa il 27% dell’economia globale. Il network transnazionale ha l’obiettivo di accelerare la transizione climatica promuovendo la mobilità sostenibile, l’ammodernamento energetico degli edifici e lo scambio di soluzioni verdi.
PROMOSSO dalle amministrazioni comunali, spesso di marca progressista, prevede una decisiva partecipazione di soggetti economici privati. È sostenuto economicamente da sponsor importanti. Quelli strategici sono: Bloomberg Philantropies, Realdania e Children’s investment fund foundation. Quelli istituzionali: il dipartimento britannico per gli Affari, l’energia e la strategia industriale; il ministero tedesco per l’Ambiente, la conservazione naturale e la sicurezza nucleare; il ministero degli Esteri danese. Reinventing Cities vuole «promuovere le ultime innovazioni a emissioni zero nel mondo e presentare le migliori proposte di trasformazione di siti sottoutilizzati come esempi di sostenibilità e resilienza, che fungano da vetrina per futuri sviluppi urbanistici a impatto zero», si legge nel testo del bando. Tra le dieci «sfide» ai team che candidano i loro progetti, nove riguardano questioni ambientali, una il coinvolgimento delle comunità locali.
«LE PAROLE che usa il bando sono interessanti. Si propone di rigenerare aree effettivamente abbandonate attraverso un’architettura green – dice Carlo Catarisano, attivista di Scup – Ma c’è un vizio a monte: la rinuncia a qualsiasi ruolo del pubblico. Inoltre si parla tanto di partecipazione, ma qui non c’è stato alcun coinvolgimento di chi abita il territorio». C’è una specificità del progetto della Tuscolana rispetto agli altri tre della capitale: l’area non sarà data in comodato d’uso al privato, ma venduta. I proprietari – Ferrovie dello Stato Italiane SpA (Fs), Rete Ferroviaria Italiana SpA (Rfi), FS Sistemi Urbani Srl (Fssu) e Roma Capitale – consegneranno al vincitore una mega porzione di città per fare cassa, al prezzo di 15 milioni di euro. Non solo: al di là dei buoni propositi sull’impatto zero, chi si aggiudicherà lo spazio potrà costruire fino a 34mila metri quadrati. Per 10mila di questi le ferrovie dello Stato avevano il diritto edificatorio nella zona della stazione Trastevere, ma non riuscendo a utilizzarlo lo hanno trasferito.
L’area del progetto
«TUTTO PASSERÀ in mano al privato, che agirà secondo la logica del suo interesse economico. Anche perché l’investimento è grosso: tra acquisto terreni e realizzazione del progetto ammonta a 70-80 milioni di euro», afferma Crocco. Con il collega Paolo Gelsomini e gli attivisti di Scup hanno dato vita a un percorso di laboratori pubblici e partecipati per far emergere i bisogni del territorio da portare davanti all’amministrazione. Il rischio è che nella realizzazione del progetto non li curi nessuno. «Nel bando si parla di servizi di interesse pubblico, ma quest’area è cronicamente carente di servizi pubblici», continua l’architetto. Qual è la differenza? «Una palestra con un abbonamento mensile da 500 euro o un giardino riservato a un complesso residenziale di lusso sono servizi di interesse pubblico. Una Asl o un parco sono servizi pubblici», risponde.
EPPURE di bisogni insoddisfatti in questa parte di Roma ce ne sono tanti: verde, piazze, biblioteche, presidi sanitari, impianti sportivi. Il decreto 1444 del 1968 sugli «standard urbanistici» stabilisce che dove questi sono insoddisfatti, come nell’area della Tuscolana, quando c’è uno spazio libero l’amministrazione deve per prima cosa verificarne il possibile utilizzo, almeno in quota parte, per rispondere alle carenze esistenti. Qui non è andata così. Le richieste di standard green e servizi da realizzare sono interne all’area, cioè per i nuovi residenti. Non per la cittadinanza.
A FEBBRAIO 2020 l’assemblea capitolina ha approvato una delibera che separa la zona destinata a Reinventing Cities da un ambito del piano regolatore molto più grande, che va da Piazza Zama al Casilino. È stata votata all’unanimità, con l’eccezione di due dissidenti 5 Stelle. Così quel pezzo di città è stato scorporato da un’area di trasformazione urbana destinata a nuovi servizi pubblici. Tre mesi prima l’assessore all’urbanistica Luca Montuori aveva presentato il bando tra le strade del Tuscolano. Nelle prossime settimane si saprà chi ha vinto tra i cinque studi finalisti (di cui due non hanno reso pubblico quale soggetto imprenditoriale hanno alle spalle).
A SCUP, però, non demordono. Nonostante la battaglia assomigli a quella di Davide contro Golia, il centro sociale si è messo in rete con comitati, associazioni e abitanti della zona, creando il «Forum territoriale per una rigenerazione urbana dal basso». È stato presentato il 12 maggio scorso. «Il pubblico non può limitarsi ad approvare un rendering – dice Catarisano – Vogliamo un’interlocuzione tra Comune, Regione e soggetto vincitore affinché siano realizzate le strutture di cui ha bisogno il quartiere. Tra queste c’è anche Scup, un punto di riferimento per lo sport, la cultura e i servizi accessibili a tutti».
Una serata al centro sociale Scup, foto di Emiliano Granatelli
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