Torino, sciopero alla rovescia dei ricercatori precari contro il lavoro gratuito
Università Sono più di 300 i ricercatori precari che aderiscono all'ingegnosa protesta contro il taglio dei fondi e per il riconoscimento dei diritti sociali. Nel corso della loro carriera forniscono un contributo gratuito pari al lavoro di tutti i dipendenti della regione Piemonte per due anni. "Serve l'unità con gli altri lavoratori della conoscenza, fuori e dentro l'università". Il governo pensa di affrontare l’emergenza con 861 posti. In tutta Italia. Sono 1,2 ricercatori per dipartimento
Università Sono più di 300 i ricercatori precari che aderiscono all'ingegnosa protesta contro il taglio dei fondi e per il riconoscimento dei diritti sociali. Nel corso della loro carriera forniscono un contributo gratuito pari al lavoro di tutti i dipendenti della regione Piemonte per due anni. "Serve l'unità con gli altri lavoratori della conoscenza, fuori e dentro l'università". Il governo pensa di affrontare l’emergenza con 861 posti. In tutta Italia. Sono 1,2 ricercatori per dipartimento
All’università di Torino sei ricercatori su dieci sono precari, il sessanta per cento. È uno dei dati più alti in Italia, dove la media è comunque impressionate: siamo al 57%. Molti di questi ricercatori sono in scadenza di contratto e di borsa. E, vista l’esiguità delle risorse a disposizione, saranno costretti a lavorare gratis per terminare compiti di ricerca, didattica o amministrativi.
La somma delle prestazioni gratuite svolte dai soli assegnisti di ricerca- hanno calcolato i ricercatori precari torinesi che partecipano dal 2 febbraio allo «sciopero alla rovescia» indetto dal coordinamento nazionale Crnsu – è «pari al lavoro di tutti i dipendenti della regione Piemonte per due anni».
Intermittenza del lavoro, lavoro gratuito e nessuna tutela. Una realtà drammatica alla quale il governo Renzi pensa di avere risposto finanziando 861 posti da ricercatore. In tutta Italia. «A Torino arriveranno 31 posti per 27 dipartimenti – calcola Valeria Cappellato, 42 anni, assegnista e specializzata nell’implementazione dei servizi per malati neuro-degenerativi – Corrispondono all’1,2 per cento dei docenti strutturati. È insufficiente: nei prossimi cinque anni andranno in pensione in 20 mila. Dal 2008 sono stati 10 mila e poi c’è il blocco del turn-over». Per i ricercatori precari la richiesta di un massiccio rifinanziamento della ricerca e dell’università è accompagnata da quella del riconoscimento dei diritti sociali fondamentali.
Per loro l’iscrizione alla gestione separata dell’Inps non prevede l’erogazione del sussidio di disoccupazione «Dis-Coll». E questo nonostante versino i contributi. «Per il ministro Poletti non siamo lavoratori, ma in formazione – continua Cappellato – Ci troviamo nella stessa situazione degli altri lavoratori della conoscenza o indipendenti. Come i giornalisti, ad esempio».
Ieri a Torino, e a Firenze, i ricercatori hanno organizzato lezioni nell’ateneo e sono intervenuti negli organi accademici per presentare lo sciopero alla rovescia: come 60 anni fa Danilo Dolci, oggi continueranno a lavorare indossando le magliette rosse con due strikers che incrociano le braccia. A Torino ne sono state vendute 300, al dipartimento di Agraria ne hanno stampate altre in proprio. Quindi i ricercatori in sciopero sono molti di più. Il prorettore Federico Bussolino e il rettore Giammaria Ajani hanno solidarizzato con la protesta dei ricercatori.
«Oggi credo sia importante creare un dialogo tra le varie figure dei precari, dentro e fuori dall’università, malgrado la frammentazione» aggiunge Cappellato. Marianna Filandri, 39 anni, ha un assegno da sei anni a Torino e lavora sulle politiche di contrasto alla disoccupazione giovanile. Il suo contratto scade ad ottobre: «Spero in una nuova iniezione di risorse – afferma – altrimenti mi impegnerò come fanno altri in progetti di ricerca e a trovare nuovi canali di studio finanziati». «Il problema non è solo il nostro destino individuale: le carriere precarie sono le più disparate, ci sono persone con mutuo, con o senza bambini – precisa – Non a caso l’hashtag su twitter è #ricercaprecaria e non #ricercatoriprecari. Vogliamo sottolineare il fatto che l’impossibilità di fare ricerca in maniera continuativa ha conseguenze sulla qualità della ricerca. Questo non è un problema che riguarda solo le storie individuali, noi crediamo nell’università pubblica. È un bene comune e come tale va finanziata«.
E se il governo non vi ascolta? «Non esistono alternative: le condizioni peggioreranno ancora».
Dossier: #Salviamolaricerca
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