Rubriche

Sulla Costituzione/2

I bambini ci parlano La rubrica settimanale di Giuseppe Caliceti

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 15 ottobre 2015

Anche oggi vi leggo delle regole della scuola scritte da Mario Lodi. Io ve le leggo e voi mi dite che cosa vogliono dire secondo voi, va bene? Ecco un’altra regola: Noi lavoriamo a scuola; il lavoro ci deve anche far divertire; ognuno dovrebbe scegliere il lavoro che ha voglia.

«Per me questa regola vuol dire che a scuola tutti devono fare qualcosa, non ci può essere un bambino che non fa mai niente. Poi lui, dopo, a forza di non fare niente si poteva sentire anche un fallito» «Per insegnare questa regola si può provare a fare stare un bambino una settimana senza fare niente e lui dopo si an- noia e chiede di fare qualcosa». «Vuol dire che se un gruppo sta facendo un cartellone e c’è una bambina brava a disegnare, meglio che il disegno lo fa lei, gli altri possono sempre aiutare a colorare».

Un’altra regola: Nella nostra scuola possono venire anche bambini che non parlano bene l’italiano.

«Secondo me, se nella nostra scuola non potevano venire i bambini che non parlavano bene italiano, maestro, allora la nostra non era neanche una scuola! Perché la scuola serve proprio a imparare a parlare bene e a scrivere in italiano!». «Per me questa regola vuol dire che non importa se un bambino è povero o ricco, se ha la pelle di un colore o di un altro, perché non è colpa sua, ma dei suoi genitori».

Un’altra regola da commentare: Nella nostra scuola, quando si insegna la religione cattolica, se un bambino crede in un’altra religione o non crede in nessuna religione, può andare fuori dall’aula con un’altra maestra a studiare delle altre cose.

«Ah, ho capito, questa regola vuol dire che nelle scuole italiane c’è la scelta di religione. Si può essere cristiani o musulmani o buddisti o testimoni di Geova. Dipende da cosa vogliono i tuoi genitori». «Per me vuol dire che un Dio è sempre importante». «Io sono molto felice quando c’è religione perché c’è sempre molto da colorare».

Un’altra regola: Tutti i bambini hanno il diritto di pregare secondo la loro religione.

«Questa regola per me è un po’ come quella di prima, Giuseppe, cioè vuol dire che per pregare non bisogna sempre mettere le mani unite, ma ci possono essere anche degli altri modi: in ginocchio, sdraiato, seduto o in altri modi che io non so». «Vuol dire che tutte le religioni hanno delle feste diverse?». «Vuol dire che a Natale, se un bambino è nato in Africa, forse non sa che è nato Gesù Bambino: questa regola, per me, vuol dire che noi dobbiamo dirlo anche a lui».

Un’altra regola: I bambini hanno il diritto di essere protetti dalla guerra e dalle violenze. A scuola possiamo imparare a risolvere i conflitti senza essere violenti e per farlo dobbiamo ascoltare anche gli altri.

«Questa regola vuol dire che vogliamo la pace e non vogliamo la guerra. E se si bisticcia, bisogna mettersi d’accordo con le parole, parlando». «Vuol dire che con la guerra si muore». «Per me vuol dire che a scuola non si picchiano i bambini. Una volta sì. Il maestro, con una bacchetta. Sulle mani. Adesso le maestre non possono. Se vogliono, li picchiano solo i genitori». «Vuol dire che non vogliamo la guerra perché non vogliamo che l’Italia diminuisca». «Vuol dire che a scuola non bisogna darsi dei pugni o prendi una nota». «Per me questa regola dice che in guerra non ci può andare un bambino. Se vogliono ammazzarsi, si ammazzano gli adulti». «Vuol dire che i bambini ogni tanto devono essere lascia- ti in pace».

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