Pasolini, l’ombra dei picchiatori fascisti
Pino Pelosi ricostruisce la notte dell’omicidio del poeta. E conferma la presenza all’idroscalo di Ostia di almeno altre sei persone oltre a lui
Pino Pelosi ricostruisce la notte dell’omicidio del poeta. E conferma la presenza all’idroscalo di Ostia di almeno altre sei persone oltre a lui
Centoventi testimoni sentiti, 19 nuovi profili genetici e nuove intercettazioni. Sono le novità che sarebbero emerse nelle indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini. Nell’intervista che segue, Pino Pelosi sviscera alcuni nuovi dettagli che gettano una luce diversa su motivazione e ambiente in cui sarebbe maturato il delitto, esortando gli inquirenti a cercare anche tra la cerchia di persone più vicine a Pasolini, nella borgata. Pelosi punta poi il dito su quanti tra politici, familiari e amici sanno la verità o sanno dove cercare ma non si impegnano. La notte del 2 novembre 1975 ancora non svela il volto in chiaro degli assassini ed eventuali mandanti.
Le indagini stanno andando avanti: cosa ne pensi di ciò che è appena uscito?
Pelosi ride beffardo Spero che approdino a qualcosa. Io ho già fatto i nomi dei Borsellino al tempo, gli atri 4 non li conoscevo, era notte, non si vedeva nulla.
Pino, tu avevi indicato delle persone presenti quella notte, un numero preciso. Oltre a te, altri 6: i Borsellino, due picchiatori insieme all’uomo con la barba, un uomo nella seconda macchina (nel 2010 un nuovo testimone Silvio Parrello rivelò della presenza di una seconda macchina e l’identità dell’uomo che l’avrebbe guidata). L’uomo con la barba ti avrebbe minacciato. Durante la prima intervista, dopo 30 anni di silenzio, avevi dichiarato che l’uomo avesse un accento siciliano. Elemento che non hai più ritrattato. Confermi?
Lo avevo detto per depistare, era italiano, basta.
Gli altri due erano romani? I Borsellino, di cui tu hai già parlato erano vicini al circolo Msi del Tiburtino. Anche i due picchiatori facevano parte dello stesso ambiente?
Si, poteva essere.
Nel 2011 hai rilasciato alcune dichiarazioni a Valter Veltroni in cui asserivi che la tua prima deposizione ti fosse stata imbeccata. È così?
Confermo di essere stato minacciato dall’uomo con la barba, che mi ha gettato l’anello sul posto e mi ha detto di inventarmi la versione. In carcere poi mi venivano a trovare per dirmi di continuare così.
Avevi 17 anni, come hai fatto ad avere sempre la lucidità per mantenere la stessa versione ogni volta?
Ero un ragazzino: a vivere nel terrore rimani lucido, freddo e concentrato a non sbagliare.
Quando hai ricevuto in carcere il famoso telegramma che indicava Rocco Mangia come nuovo difensore da nominare, hai mai pensato che avessero proposto denaro ai tuoi genitori? E come facevano a conoscere Francesco Salomone (l’allora giornalista de Il Tempo, tessera P2 nr. 1911- Ansa 21/05/1981, che aveva indicato ai genitori di Pelosi di assumere Rocco Mangia come avvocato, ndr)?
A me non piacciono queste associazioni con quel mondo. Dicevano che Rocco Mangia era l’avvocato degli assassini del Circeo e dei fascisti.
Certo, ma quello era in buona parte il mondo da cui proveniva la manovalanza.
Si ma io non c’entro niente con quel mondo.
L’uomo con la barba è vivo? (ride) Gli altri due, sono morti?
I due picchiatori? Non li ho visti bene ma erano più giovani del “barbone” che all’epoca aveva 40 anni. Quell’uomo era più importante dei picchiatori, gestiva tutto. Certo potrebbe appartenere all’altro livello.
Non lo conosci o hai paura?
Non so nulla. Però mi chiedo perché non interrogano anche tra le passate conoscenze dello scrittore, Ninetto Davoli: perché ha fatto rottamare la macchina che Pasolini gli aveva lasciato? Perché non glielo chiedono? La macchina di Pasolini poteva essere ulteriormente analizzata.
Se, come hai detto, il sangue sul tettuccio della macchina (lasciata poi incustodita dall’autorità giudiziaria, ndr, sangue lavato via dalla pioggia, era di Pasolini, cos’altro potevano trovare in quella macchina, oltre ai reperti rinvenuti e oggi sotto esame?
Sotto il sedile.
Cosa poteva esserci sotto il sedile?
Non lo so. Sotto il sedile… niente…
Cosa c’era?
Ma l’accendino mio l’hanno trovato?
È importante questo accendino?
Può essere importante come l’anello. Dov’è, chi l’ha preso? È sparito.
Ricostruiamo quella notte: tu eri davvero al ristorante con lui quella sera o eri già all’Idroscalo?
No io ero con lui e con lui sono andato all’idroscalo.
Vincenzo Panzironi proprietario de «Il Biondo Tevere» fece una tua descrizione che però non sembra corrisponderti (biondo, con i capelli lunghi fino al collo)…
Può darsi che Panzironi abbia fatto confusione con i giorni: il giorno prima Pasolini era in compagnia di un biondo.
Dove ti hanno fermato i carabinieri quella notte?
Non mi hanno arrestato davanti alla fontanella di Piazza Gasparri ma davanti al locale Tibidabo.
Sei scappato da solo su quella macchina?
Sì.
Chi era l’uomo che guidava la seconda macchina?
Non lo so. Non si vedeva da qui a tre metri. Ho visto invece bene in faccia l’uomo con la barba, assomigliava all’ispettore Camilli della foto (riferimento alla foto de Il Tempo del 4 dicembre 2013, ndr).
Dici di non conoscere i due picchiatori ma hai fatto i nomi dei fratelli Borsellino quando erano già morti, sarà così anche per i due picchiatori?
Non dirò mai nulla.
I Borsellino quando sono andati via: prima o dopo di te?
Non li vedevo perché erano lontani, non so nemmeno se hanno partecipato anche loro al pestaggio. Ma sono arrivati dopo, con la moto.
Riprende poi dal mazzo dei ricordi: Un massacro orrendo che ho potuto rivivere interamente solo durante le riprese del film di Federico Bruno, (film diretto e prodotto da Bruno: Pasolini. La Verità nascosta, ndr) Mi ha fatto impressione vedere Alberto (Testone l’attore che interpreta il poeta e saggista, ndr) con tutto il sangue addosso… Quella sera gridava mamma mi stanno ammazzando.
Perché eravate lì?
Per recuperare le pizze del film Salò o Le 120 giornate di Sodoma: Pasolini ci teneva molto, erano gli originali e voleva proprio quelle.
Chi ti ha detto che era per le bobine l’incontro?
I Borsellino.
E a loro chi lo ha detto?
Non lo so, quando fai certe cose non chiedi niente. Dovevo guadagnare due lire per portarlo lì ma non sapevo cosa sarebbe successo dopo, non sapevo dell’agguato. I suoi amici lo hanno usato, come Citti, l’ho scritto nel mio libro (Io so… come hanno ucciso Pasolini. – Storia di un’amicizia e di un omicidio, Vertigo 2011).
Non lo avete usato un po’ tutti lì in borgata?
No, io c’ho solo rimesso famiglia, vita tutto.
In una recente intervista hai fatto riferimento a un uomo politico dicendo: «Chi indaga dovrebbe andare a citofonare a certe persone, come a casa di quel politico lì… quello famoso». Un politico del presente o del passato?
Una dichiarazione mal interpretata non mi riferivo a un politico in particolare. Anche se fosse così non lo direi, non dirò più nulla. Poi il riferimento era se mai a tutta quella classe politica a lui vicina che non si muove davvero per scoprire chi lo ammazzò.
Chi sono gli intoccabili di cui parli più volte?
Qualcuno è morto, qualcuno è vivo.
Secondo la tua esperienza, per com’erano le cose in quegli anni, cosa significava pestare quasi a morte qualcuno?
Una punizione, una tortura… forse per qualcosa che lui aveva scritto sui giornali causando danni a qualcuno. Bisognerebbe capire chi c’era oltre, qual era l’altro livello.
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