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Nasce il governo Fatah-Hamas. Netanyahu ordina la ritorsione

Nasce il governo Fatah-Hamas. Netanyahu ordina la ritorsione/var/www/vhosts/ilmanifesto.co/ems/data/wordpress/wp content/uploads/2014/06/02/03EST3F01 INCHIESTA PALE FESTA ACCORDI HAMAS

Palestina Il nuovo esecutivo palestinese ha giurato ieri a Ramallah. Soddisfazione in Cisgiordania e a Gaza. Ma il governo israeliano ha già deciso le misure per punire l'alleanza tra il partito del presidente Abu Mazen, Fatah, e il movimento islamico Hamas

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 3 giugno 2014
Michele GiorgioGERUSALEMME

«Oggi termina la divisione palestinese. E’ nostro interesse avere un governo di unità nazionale». Sono state queste ieri le prime parole del presidente dell’Anp Abu Mazen al termine della cerimonia di giuramento del nuovo governo di consenso nazionale. Un esecutivo tecnico provvisorio, formato da 17 ministri indipendenti, guidato dal premier Rami Hamdallah, che avrà come compito principale quello di portare alle urne i palestinesi di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Dopo anni di divisione e duro scontro, i movimenti Fatah e Hamas, hanno ricomposto la frattura che per sette lunghi anni ha lacerato la politica e la società palestinese e contribuito ad indebolire, per la sete di potere di entrambi, le aspirazioni di un intero popolo.

Hamas si è felicitato per formazione del nuovo esecutivo. «E’ il governo dell’intero popolo palestinese», ha detto il suo portavoce Sami Abu Zuhri. Sullo stesso tono i commenti giunti da altri dirigenti del movimento islamico. Hamas dopo giorni di trattative ha rinunciato al dicastero degli esteri che avrebbe voluto per Ziad Abu Amr, un docente di scienze politiche dell’università di Bir Zeit che nel 2006 aveva avuto, per un breve periodo, questo incarico nel governo di Hamas. Alla fine l’ha spuntata Abu Mazen che ha riconfermato il ministro uscente Riad al Malki, gradito alle diplomazie occidentali. Non solo. Il movimento islamico ha rinunciato anche alla formazione del ministero per i prigionieri che pure è stata per settimane una delle sue richieste principali. Isolati dall’Egitto golpista, vittime indirette della campagna contro i Fratelli Musulmani scatenata dall’Arabia saudita (sfociata nell’isolamento del Qatar, lo sponsor finanziario della Fratellanza), gli islamisti palestinesi hanno evidenziato un debole potere contrattuale. Hamas comunque ha ottenuto che il controllo di sicurezza a Gaza resti, almeno per ora, nelle sue mani, anche se il valico di Rafah con l’Egitto tornerà ad essere gestito dalla guardia presidenziale di Abu Mazen. Il premier islamista Ismail Haniyeh, rimasto in carica per sette anni dopo la presa del potere di Hamas a Gaza, ieri ha annunciato il dissolvimento del suo governo. Per lui è pronto l’incarico di speaker del Consiglio Legislativo dell’Anp, rimasto inattivo per tutto questo tempo.

E’improbabile tuttavia che il parlamento dell’Anp possa riprendere ad operare a pieno ritmo prima delle elezioni politiche e presidenziali che, nelle intenzioni palestinesi, dovrebbero tenersi entro la fine del 2014. I deputati saranno costretti a tenere sedute in videoconferenza, a causa delle restrizioni ai movimenti dei palestinesi tra Gaza e Cisgiordania, attuate dalle autorità israeliane. Senza dimenticare che dopo il 2006 (anno della vittoria elettorale di Hamas) l’esercito di Israele ha arrestato gran parte dei parlamentari del movimento islamico (e non solo) residenti in Cisgiordania, incluso lo speaker Aziz Dweik.

Se la riconciliazione Fatah- Hamas sarà di lungo respiro, definitiva, potrà dirlo solo il tempo. Troppe sono le pulsioni interne e le pressioni esterne sui leader politici delle due parti. A sinistra i sentimenti sono contrastanti. Il Fronte popolare per la liberazione della Palestina per anni ha lavorato alla riconciliazione nazionale, quindi guarda con favore alla ricomposizione della frattura tra Cisgiordania e Gaza. Allo stesso tempo critica gli obiettivi di un esecutivo che non si sgancia della cooperazione di sicurezza con Israele e dalle condizioni poste da Stati Uniti ed Europa. «Un governo palestinese di vera unità nazionale deve puntare ad avere una piattaforma politica riconosciuta e accettata da tutto il nostro popolo nei Territori occupati e in esilio e non cercare il consenso degli Usa», ci spiegava ieri una dirigente del Fplp, che ha chiesto di rimanere anonima, non mancando di rivolgere critiche ad Hamas: «Per anni ha esaltato la resistenza e ora sostiene un governo che continuerà la cooperazione con i servizi segreti di Israele».

Benyamin Netanyahu è furioso. La riconciliazione nazionale palestinese non lo fa dormire la notte. Si rende conto che Hamas potrebbe ottenere qualche forma di legittimazione indiretta, soprattutto in Europa. Per questo ha subito annunciato una serie di misure punitive, tra le quali l’interruzione di ogni contatto e il blocco dei fondi palestinesi. Israele inoltre riterrà responsabile l’Anp per ogni razzo sparato da Gaza. Più di tutto Netanyahu domenica e ieri ha rivolto avvertimenti minacciosi alla “comunità internazionale”, ammonendola dall’offrire qualsiasi forma di riconoscimento al nuovo esecutivo palestinese. Parole rivolte anche agli alleati americani che da un lato, per bocca del segretario di stato John Kerry, si dicono vicini alla linea dura espressa da Israele e dall’altro non hanno ancora preso una decisione definitiva. Decisione che potrebbe essere presa oggi se, come annunciato, Kerry incontrerà ad Amman Abu Mazen che , da parte sua, ripete che il nuovo governo riconoscerà Israele e gli accordi firmati in passato.

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