Europa

Migranti, scontro a Bruxelles sui movimenti secondari

Migranti, scontro  a Bruxelles sui movimenti secondari

Cinque Paesi attaccano l’Italia e chiedono di rivedere Schengen Alla fine l’accordo che prevede maggiore solidarietà dagli Stati

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 23 ottobre 2021

Alla fine un accordo è stato raggiunto ma le oltre cinque ore durante le quali ieri i 27 capi di Stato e di governo hanno discusso di migrazione dimostrano quanto l’argomento divida ancora in profondità l’Unione europea. Con l’Italia presa di mira da Austria, Olanda, Danimarca, Finlandia e Svezia che l’accusano di fare poco per ridurre i movimenti secondari, fino al punto di arrivare perfino a chiedere una revisione in senso restrittivo di Schengen pur di bloccare i migranti che provano a lasciare il Paese nel quale sono arrivati per raggiungere il cuore dell’Europa.

Richiesta contenuta in una prima bozza del documento finale ma poi cancellata nella versione finale. «Quanto più è debole la protezione delle nostre frontiere esterne tanto più è forte la pressione sulla limitazione di movimento di persone», avverte alla fine del vertice il premier Mario Draghi. «Questo spiega perché vari Paesi sarebbero stati in favore di un cambiamento di Schengen, ma alla fine l’abbiamo spuntata».

L’argomento però è tutt’altro che archiviato: «La Commissione ha sempre sostenuto gli Stati membri in difficoltà sui confini – ammette infatti la presidente Ursula von der Leyen- e guarderemo alle necessarie misure legali per migliorare la situazione», approntando modifiche «al codice sulla spazio Schengen che sarà sul tavolo come nuova proposta». Dal Consiglio europea inoltre arriva un nuovo «No» alla richiesta avanzata da una dozzina di Stati di finanziare con il bilancio europeo nuovi muri anti migranti ai confini esterni.

Tutto sommato per l’Italia il vertice di ieri si chiude con un segno positivo specialmente visto come era cominciato, con una serie di Paesi che hanno chiesto in maniera unilaterale maggiore impegno sui movimenti secondari. Parlando due giorni fa in parlamento, il premier aveva invece spiegato ancora una volta come la questione degli sbarchi non può essere affrontata dal solo Paese di primo approdo bensì deve essere collegiale. Due ore di discussione e alla fine si è arrivati a un compromesso che accontenta tutti: «Occorre sostenere gli sforzi – è scritto nella dichiarazione finale – per ridurre i movimenti secondari e per garantire un giusto equilibrio tra responsabilità e solidarietà». Draghi incassa anche l’impegno a rimettere mano al patto su immigrazione e asilo, altra cosa che l’Italia chiedeva da tempo.

Tutto bene dunque? Sì, ma solo sulla carta dal momento che gli impegni presi ieri a Bruxelles in realtà almeno per ora sono solo promesse visto che, come anticipato nelle scorse settimane dal vicepresidente della Commissione Ue Margaritis Schinas, nel concreto nessuno farà niente fino a dopo le lezioni francesi del prossimo anno. Tanto più che proprio alla Francia spetterà a partire da gennaio il turno di presidenza della Ue.

C’è poi la questione Bielorussia, con il regime di Alexander Lukashenko che da mesi spinge i migranti verso le frontiere di Lituania, Lettonia e Polonia come ritorsione per le sanzioni adottate dall’Unione europea contro il Paese. Varsavia, che per fermare i migranti ha proclamato lo stato di emergenza, definisce quelli di Lukashenko «attacchi ibridi» per fermare i quali ha costruito un muro al confine. Stessa cosa stanno facendo anche Lituania e Lettonia. Ieri la presidente della Commissione Ue ha annunciato l’intenzione di Bruxelles di adottare nuove sanzioni nei confronti della Bielorussia e questa volta «non solo contro individui, ma anche per entità e imprese». «Le persone usate da Lukashenko sono vittime, dobbiamo aiutarle e nessuna vita umana andrebbe strumentalizzata», ha detto von der Leyen.

Infine i 27 si sono trovati d’accordo nel finanziare i Paesi di origine e di transito dei migranti a patto che rendano più sicure le loro frontiere. Allo scopo andrebbe destinato almeno il 10% del Fondo per lo sviluppo per finanziare progetti che riguardano «tutte le rotte migratorie».
Uno dei pochi punti sui quali esiste una vera unità di intenti tra gli Stati, visto che il vertice di ieri ha evidenziato una volta di più soprattutto i motivi di divisione. «Lascio questa Unione europea in una situazione che mi preoccupa», ha detto no a caso la cancelliera Angela Merkel andando via dal suo ultimo vertice. «Abbiamo superato molte crisi, ma abbiamo una serie di problemi irrisolti».

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