L’università di Torino sceglie di non collaborare con Israele per nuove ricerche nel campo dell’elettronica «dual use», cioè utile a scopo civile e anche militare. Lo ha deciso ieri il senato accademico durante una seduta piuttosto particolare. Alla seduta infatti si sono auto-invitati gli studenti dei collettivi «Cambiare rotta» e «Progetto Palestina»: nell’austera sala del Rettorato dell’ateneo torinese, gli studenti hanno aperto uno striscione che invitava al boicottaggio delle collaborazioni tra università e il governo e le aziende israeliane in protesta contro la guerra a Gaza. E poi hanno presentato l’appello, firmato da 1700 accademici tra cui una sessantina di torinesi, affinché venga sospeso l’accordo di cooperazione scientifica tra Israele e Italia per protestare contro l’«educidio» in corso nella Striscia, dove le bombe israeliane hanno chiuso una dopo l’altra tutte le istituzioni universitarie palestinesi. Il ministero degli esteri, invece, alla fine di febbraio ha bandito un finanziamento per progetti di ricerca congiunta italo-israeliana con potenziali applicazioni anche in campo militare.

Stefano Geuna, medico e rettore dell’università di Torino, ha accettato di mettere ai voti la mozione degli studenti, con un risultato a sorpresa: con un solo voto contrario e due astenuti, il senato accademico ha deciso che l’università di Torino non parteciperà al bando 2024 del ministero, riconoscendo la fondatezza della richiesta. L’ateneo torinese si aggiunge ad altre – non moltissime – istituzioni universitarie che a livello internazionale stanno fermando le collaborazioni con i centri di ricerca israeliani per protesta contro le operazioni a Gaza.

La redazione consiglia:
Stop alla cooperazione scientifica con Tel Aviv

Le università norvegesi di Oslo, Bergen e Notodden hanno rotto i rapporti con le università di Gerusalemme e Haifa. Anche la potente associazione studentesca dell’università di Davis (California), che gestisce un budget di 20 milioni di dollari, ha sospeso gli investimenti in società «complici nell’occupazione e nel genocidio». Ma ovviamente c’è chi non condivide la scelta degli accademici.

Stefano Parisi, ex-manager di Forza Italia sconfitto da Beppe Sala alle amministrative milanesi, oggi è presidente dell’associazione «setteottobre» nata per «riaffermare il diritto di Israele a difendersi» e definisce «gravissima e inquietante» la decisione torinese. «Colpire il mondo dell’università e della ricerca di Israele che è all’avanguardia nel mondo ed impedire la collaborazione con un ateneo importante come quello di Torino che potrebbe portare ricadute positive per il nostro Paese – denuncia Parisi – è l’ennesima dimostrazione del clima di odio antisemita che dal 7 ottobre sta montando con furia in Italia». E chiede a governo e Conferenza dei rettori di intervenire.

Gli studenti invece cantano vittoria. «La protesta ha conquistato il confronto pubblico in aula magna tra la comunità studentesca e il senato accademico ottenendo il blocco della partecipazione dell’Università di Torino al bando Maeci 2024 – raccontano i militanti di Cambiare Rotta – Una vittoria importante che proveremo ad ottenere anche negli altri atenei dei Paese per smontare pezzo a pezzo la complicità delle università italiane con l’entità sionista».