Gli ottimisti dicono che il molo galleggiante, partorito a marzo dalla mente di Joe Biden per rifornire di cibo la Striscia di Gaza, sarà smantellato facilmente come ora viene assemblato dalle truppe americane. Eppure non si può fare a meno di considerare che questa iniziativa «umanitaria» in via di rapida realizzazione, già ai primi di maggio, finisca per consolidare l’occupazione militare israeliana del nord di Gaza, la parte svuotata in gran parte della sua popolazione.  Di sicuro favorisce il progetto israeliano di escludere definitivamente l’agenzia Unrwa (Onu) dalla distribuzione degli aiuti (già molto limitati) ai 200-300mila palestinesi che restano nel nord di Gaza.

NON È CHIARO, peraltro, se il molo riuscirà a incrementare in modo significativo gli aiuti umanitari. I funzionari dell’Onu e delle ong internazionali lo dubitano fortemente e, nei giorni scorsi, hanno ribadito che Gaza rischia la carestia nel giro di qualche settimana. Il Programma alimentare mondiale (Wfp) ha accettato di collaborare con due paesi europei, Lussemburgo e Romania, che per conto dell’Ue useranno il «corridoio marittimo» per l’invio di aiuti. Il direttore del Wfp, Carl Skau, comunque sottolinea che il molo americano dovrà essere solo una parte di uno sforzo più ampio per evitare la fame.

«Posso confermare che le navi militari statunitensi, inclusa la USNS Benavidez, hanno iniziato a costruire le prime parti del molo temporaneo e della passerella rialzata in mare», ha detto giovedì il portavoce del Pentagono, Patrick Ryder. I soldati americani non metteranno piede a terra, ha aggiunto, rispondendo indirettamente ad Hamas e altre organizzazioni combattenti palestinesi che minacciano di prendere di mira «qualsiasi presenza straniera» a Gaza.

Due giorni fa è giunto un primo inequivocabile messaggio agli Stati uniti. Colpi di mortaio sono stati sparati in apparenza verso il molo in costruzione mentre funzionari dell’Onu visitavano il sito con le truppe israeliane. Non ci sono stati feriti. Nessun gruppo ha rivendicato gli spari e le forze Usa hanno sminuito l’accaduto dicendo che i colpi di mortaio non avevano avuto come obiettivo il molo.

IL PORTO mobile – Joint Logistics Over the Shore (Jlots) – sorgerà sotto Gaza city, ma poco a nord del Corridoio Netzer costruito da Israele e che taglia in due la Striscia. In termini pratici significa che gli aiuti umanitari che giungeranno al molo dovranno passare attraverso posti di blocco israeliani prima di essere distribuiti, nonostante siano già stati ispezionati dalla sicurezza di Israele a Cipro prima dell’imbarco. Controlli che rallenteranno la distribuzione del cibo e dei generi di prima necessità. A quanto si è appreso, le casse con gli aiuti verranno caricate su navi commerciali a Cipro e, al termine di una navigazione di circa 200 miglia, arriveranno alla piattaforma galleggiante Usa davanti alla costa di Gaza. Lì gli aiuti saranno portati da piccole imbarcazioni fino alla passerella rialzata lunga 550 metri e trasferiti su camion che proseguiranno verso la terra ferma.

IL PORTO galleggiante avrà tre zone: una dove giungeranno gli aiuti che saranno controllati dagli israeliani, un’altra dove gli aiuti verranno selezionati e una terza dove gli autisti dei camion del Wfp aspetteranno gli aiuti da portare ai punti di distribuzione. Il molo gestirà 90 camion al giorno, ma tale numero potrebbe aumentare fino a 150. La missione potrebbe durare diversi mesi, ha detto all’Associated Press un funzionario americano. Una brigata israeliana e le navi della Marina militare saranno schierate a protezione dei soldati Usa