Editoriale

L’ossimoro della fiducia segreta

L’ossimoro della fiducia segretaLaura Boldrini – Lapresse

Camera Niente fiducia con il voto segreto, lo dice il regolamento

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 16 aprile 2015

Siamo alla conta finale? L’appello delle opposizioni a Mattarella contro il ricorso alla fiducia per la legge elettorale usa parole molto pesanti. Ma non è dubbio che l’arrogante testardaggine del governo, nel lasciar intendere che alla questione di fiducia potrebbe giungersi, ha creato una situazione di straordinaria gravità. In tale ipotesi non saremmo più di fronte a una normale dialettica politica, dura quanto si vuole, ma ad una patente e voluta violazione del regolamento parlamentare. Per questo è bene che il Presidente raccolga l’appello, e dia ad esso seguito nei modi che riterrà opportuni.

Sulla legge elettorale il governo non può porre la fiducia, se viene richiesto il voto segreto (già da alcuni preannunciato). Ce lo dicono con chiarezza gli artt. 49 e 116 del regolamento Camera. Per l’art. 49 il voto è palese, salvo che per alcune materie enumerate in cui è necessariamente segreto, e per alcune altre in cui è segreto a richiesta di almeno 30 deputati (art. 51). Tra queste ultime – voto segreto a richiesta – troviamo appunto la legge elettorale. Per l’art. 116 la questione di fiducia non può essere posta «su tutti quegli argomenti per i quali il Regolamento prescrive votazioni per alzata di mano o per scrutinio segreto». Il che è ovvio, visto che la fiducia si vota per appello nominale. La domanda dunque è: lo scrutinio segreto a richiesta sulla legge elettorale ex art. 49 si configura come voto segreto “prescritto” ai sensi dell’art. 116? O deve considerarsi “prescritto” solo il voto “necessariamente” segreto, e cioè segreto anche in assenza di richiesta?

La risposta è chiara. Anche il voto segreto a richiesta – beninteso, una volta che la richiesta sia stata avanzata – deve considerarsi “prescritto” ai sensi dell’art. 116, e dunque idoneo a determinare la preclusione della questione di fiducia. Bisogna partire dalla considerazione che la modalità di votazione in ambito parlamentare non è mai oggetto di valutazione discrezionale da parte di chicchessia. Che il voto sia segreto o palese non discende da una scelta di opportunità, ma dal dettato regolamentare. Ciò per ovvi motivi di garanzia dei singoli parlamentari e delle forze politiche, in specie di minoranza.

Ci può essere un «dubbio sull’oggetto della deliberazione», cioè un dubbio interpretativo se una fattispecie rientri o meno nelle materie per cui il voto è segreto o palese. Ma, sciolto il dubbio da parte della presidenza dell’assemblea, il voto è obbligatoriamente determinato dalla norma regolamentare. Quindi, la modalità di votazione è sempre «prescritta».

Nel caso, non c’è alcuna possibilità di dubbio interpretativo, poiché la legge elettorale è esplicitamente inclusa nell’elenco delle materie per cui il voto è segreto a richiesta. E pertanto la questione di fiducia rimane preclusa ai sensi dell’art. 116, laddove richiesta di voto segreto vi sia. Spetterà alla Presidenza dell’Assemblea impedire ogni prevaricazione a danno dei diritti dei singoli deputati e delle forze politiche. Essendo chiaro che la Presidenza non si oppone a una scelta politica del governo, ma solo applica – come deve – una inequivoca norma regolamentare.

Dunque, niente fiducia. Si tratta di regole, e non di bon ton politico e istituzionale, che pure vieterebbe in modo assoluto a un governo di vincolare la propria sopravvivenza – attraverso la fiducia – al testo in discussione. In tal modo si certifica infatti che la legge in discussione non è neutrale, ma entra nella dialettica politica distribuendo vantaggi e svantaggi decisivi. Né si tratta di buon senso, che ovviamente dovrebbe trattenere un segretario capo di governo dall’usare la fiducia per mettere la mordacchia a un pezzo del suo stesso partito. Né, ancora, si tratta di dignità politica, che pure richiederebbe, una volta naufragato lo sciagurato patto del Nazareno, di smettere la finzione per cui le riforme da esso generate siano nell’interesse del paese. Né si tratta di correttezza e sensibilità costituzionale, che imporrebbero di non forzare un parlamento già sostanzialmente illegittimo per una sentenza del giudice delle leggi a normare approfittando dei numeri determinati da quella illegittimità. Né infine si tratta di valutazioni di merito, anche se Napolitano definisce ora un grave errore aver abbandonato il Mattarellum, con ciò lasciando intendere per implicito che l’errore si perpetua quando non si esce dal Porcellum tornando al Mattarellum ma andando all’Italicum, pur necessitato.

Mentre Scalfari afferma su Repubblica che l’approvazione delle riforme renziane uccide la democrazia parlamentare. Due autorevoli testimoni del nostro tempo, che si guadagnano la tessera di gufo onorario.
Abbiamo capito che a Renzi più che il monopoli piace la battaglia navale, soprattutto per la formula «colpiti e affondati». La sinistra Pd ha qui probabilmente la sua ultima occasione. Certo, per loro Renzi è come il meteorite che 65 milioni di anni fa colpì la terra provocando l’estinzione dei dinosauri. Ma vogliamo ricordare a quel che resta della componente Ds nel Pd che i dinosauri lottarono per sopravvivere.

Noi vorremmo almeno che si rispettassero le regole. In un sistema democratico è una premessa indispensabile, senza la quale tutto si riduce a vuota parola. Di forzature e strappi ne abbiamo avuti già troppi, per un nuovismo che in tal modo nulla promette di buono per il futuro. Anche per questo il renzismo non ci piace. E non è affatto questione di fiducia.

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